“Stargate” è sicuramente il film più legato, secondo l’immaginario comune più recente, all’Egitto. La pellicola, diretta nel 1994 da Roland Emmerich, ebbe un buon successo di pubblico facendo leva su argomenti fantascientifici d’interesse come la teoria degli universi paralleli e lo zampino extraterrestre nelle grandi costruzioni del passato. In più, erano gli anni in cui uscirono “best seller” scritti da giornalisti/saggisti/ingegneri/ciarlatani che, improvvisatisi egittologi (e ancora oggi fanno danni), inculcarono nella testa di milioni di persone che le piramidi sono molto più antiche rispetto alla datazione ufficiale e che gli Egizi altro non erano che i discendenti di chissà quale popolazione perduta ultratecnologica. Per tutti questi motivi, “Stargate” è il film di riferimento di ogni amante della fantarcheologia. Ciò che ne viene fuori è un misto tra “Indiana Jones” e “Guerre Stellari” con tesi più che fantasiose sull’origine della civiltà egizia, ma che, al tempo stesso, si fregia della consulenza linguistica di un vero egittologo, Stuart Tyson Smith, professore presso la University of California Santa Barbara e presente anche alla realizzazione de “La Mummia” e “La Mummia – Il ritorno” (il che non è così onorevole per la sua carriera accademica). Smith, utilizzando la pronuncia del copto, si è occupato di tutti i dialoghi in lingua egizia, tranne una frase: la traduzione di «Sono morto?», «Yawa meton-i», è stata modificata in post-produzione perché suonava troppo come «You want me tonight!»
Cavalcando l’onda, venne realizzata anche una serie televisiva, “Stargate SG-1”, più altri spin-off e, lo scorso 29 maggio, la Warner Bros ha annunciato che ci sarà un reboot suddiviso in una trilogia, proprio come prevedeva il progetto originario. Da adesso in poi: ATTENZIONE SPOILER!
8000 a.C.: nel deserto nordafricano, un giovane è rapito da un’astronave e il suo corpo viene parassitato dall’ultimo esponente di una razza aliena in via d’estinzione che darà il via allo sviluppo tecnologico delle popolazioni primitive sulla Terra. 9928 anni dopo, l’archeologo Robert Langford riporta alla luce a Giza un enorme coperchio di pietra con iscrizioni geroglifiche e un anello fatto in un metallo sconosciuto. Tutto il materiale finisce negli USA per essere studiato, fino ai giorni nostri, quando i militari fiutano una possibile applicazione bellica della scoperta e, sotto la direzione del Colonnello O’Neill (Kurt Russell), affidano la ricerca a Catherine, l’ormai anziana figlia di Langford, e ad altri scienziati.
Ma, dopo numerosi insuccessi, viene chiamato il Dott. Daniel Jackson (James Spader), stereotipato egittologo occhialuto e imbranato che, però, alla fine conquisterà la bella di turno (alla faccia di Jena Plissken!). L’intervento di Jackson è dovuto alle sue teorie di retrodatazione della Grande Piramide che corrispondono ai risultati del C14 sull’anello: 10.000 anni fa. Poi, come abbiano fatto a esaminare una struttura in materiale inorganico con il radiocarbonio, possono spiegarcelo solo gli alieni… In ogni caso, Daniel arriva nel laboratorio segreto e subito corregge la traduzione errata del testo inscritto sul coperchio di pietra (vedi l’immagine in alto) affermando che chi l’aveva decifrato prima poteva aver utilizzato solo l’ormai superato dizionario di Budge. Questa battuta è sicuramente farina del sacco di Smith e l’avranno capita in pochi perché Sir Ernest Alfred Thompson Wallis Budge fu un egittologo inglese che lavorò per il British Museum a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Certo è che sarebbe stato come minimo strano l’utilizzo, da parte di uno studioso nel 1993, di “An Egyptian hieroglyphic dictionary: with an index of English words, king list and geological list with indexes, list of hieroglyphic characters, coptic and semitic alphabets, etc” che è stato pubblicato nel 1920. Tra tutti i geroglifici, ci sono 6 segni sconosciuti che Jackson inizialmente non riesce a decifrare. Durante i suoi tentativi, sul tavolo si vedono due libri all’epoca usciti da poco: “Egypt Before the Pharaohs” di Hoffmann e “The Face of Tutankhamun” di Frayling (decisamente meno utile del primo alla ricerca, ma una marchetta alla BBC, produttrice dei documentari a cui il testo si è ispirato, la si fa sempre volentieri). Finalmente, capisce che sono costellazioni, le coordinate spaziali che servono ad attivare lo Stargate e a collegare la Terra ad Abydos (una delle più antiche città d’Egitto), pianeta abitato da umani deportati come schiavi, millenni prima, dall’alieno che si fa chiamare Ra e che si fa venerare come un dio.
Parte una spedizione composta da Jackson, O’Neill e altri soldati che si ritrovano in una sorta di tempio funerario ai piedi della copia esatta della Piramide di Cheope. La struttura, quasi completamente coperta dalla sabbia, è composta da una rampa processionale che parte da due obelischi (in blocchi e non monolitici come quelli egizi) e che arriva a un pilone. La piramide, invece, altro non è che il punto di “attracco” dell’astronave di Ra, a sua volta a forma piramidale. I locali scambiano Daniel per un messaggero di Ra a causa dell’amuleto con l’udjat che gli aveva dato Catherine come portafortuna per il viaggio; così, lo portano, insieme al colonnello e ad altri due uomini, nella città di Naqada (altro sito predinastico e riferimento a un’origine più antica della civiltà nilotica). Il resto della squadra viene attaccato e catturato dalle guardie di Ra che indossano maschere robotiche con le fattezze di Anubi e Horus.
L’egittologo viene accompagnato dalla bella Sha’uri in un luogo segreto dove è scritta la storia del popolo (vedi in basso) ed è nascosta la combinazione per tornare indietro con lo Stargate. Imparato il dialetto locale e la pronuncia, Jackson capisce che Ra è un alieno che sfrutta il minerale del pianeta per portare avanti la sua tecnologia e per rigenerare all’infinito, in un sarcofago a forma di cartiglio, il corpo preso “in prestito” dal cavernicolo visto all’inizio del film. Si viene a sapere anche che gli uomini sulla Terra, però, si ribellarono alla sua tirannide seppellendo la Porta delle Stelle e interrompendo il collegamento con l’altro mondo dove venivano deportati per lavorare in miniera.
Tagliando corto, anche perché finiscono i riferimenti all’Egitto, la stessa cosa succede su Abydos. Prima si ribellano i giovani aiutati dai soldati terrestri e poi tutti gli altri abitanti che sconfiggono le guardie, fino a poco tempo prima considerate divine, e costringono alla fuga Ra. Jakson e O’Neill, però, riescono a teletrasportare una bomba (che sarebbe servita fin dal principio a distruggere il portale in caso di pericoli) sulla navicella distruggendo per sempre l’alieno e il suo governo despotico. I superstiti della spedizione tornano a casa con lo Stargate, ma Daniel decide di rimanere lì, non so se più spinto dalla voglia di studiare quella civiltà o dalla consapevolezza di aver trovato una ragazza che si sarebbe sognato negli USA!