Stasera e domani (22-23 maggio), andrà in onda su Focus (canale 56 del digitale terrestre) la miniserie inglese “Tutankhamun”, qui in Italia presentata con il titolo “Tutankhamon”. Da non confondere con l’orripilante “TUT” di cui – ahimè – ho già scritto, questo dramma storico prodotto dalla ITV e diretto da Peter Webber (“La ragazza dall’orecchino di perla”, “Annibal Lecter – Le origini del male”) parla in 4 episodi della scoperta nel 1922 della KV62. Il protagonista, quindi, non è il ‘faraone fanciullo’ ma Howard Carter che, dopo mille difficoltà e insuccessi, riesce ad effettuare il ritrovamento archeologico più importante della storia. L’idea del racconto biografico applicata all’Egitto è sicuramente una ventata di novità per un’ambientazione cinematografica quasi sempre fossilizzata sui soliti personaggi: mummie e Cleopatra (anche se, a dir la verità, Tutankhamon non è proprio un argomento inedito). Dopo questo esempio, infatti, sarebbe interessante vedere altre produzioni incentrate sui grandi nomi dell’egittologia, dagli albori della disciplina all’introduzione del metodo scientifico, come Belzoni, Champollion, Petrie (che fa una comparsata anche in questa serie) e molti altri la cui vita, senza dover romanzare troppo, sarebbe perfetta per un film. Per il momento, accontentiamoci di “Tutankhamun” che, fra l’altro, presenta una trama piuttosto aderente alla realtà (verificabile leggendo i diari e il giornale di scavo originali). Al di là di due particolari punti che – come vedremo – lasciano perplessi, non ci sono grossolani errori, a testimonianza di una ricerca a monte abbastanza accurata. L’attendibilità storica, però, non è accompagnata da una sceneggiatura avvincente rendendo la serie spesso lenta nonostante i mille spunti, anche avventurosi, a disposizione.
Ho scritto questo articolo mesi fa, dopo aver visto la versione originale nell’ottobre 2016, quindi spero non abbiano stravolto troppo la narrazione con il doppiaggio italiano. In ogni caso, leggete pure la recensione senza pensare ad eventuali spoiler, tanto sapete già come va a finire la storia, no?
Come detto, i problemi principali che inficiano la credibilità generale della serie sono due, tra cui la scelta di Max Irons per ricoprire il ruolo principale. L’aitante modello trentenne è troppo lontano anagraficamente da Howard Carter che, al momento della scoperta, aveva 48 anni. In questo caso, l’utilizzo dell’attore belloccio di turno non serve solo ad attrarre il pubblico femminile ma anche a giustificare l’altra falla nella trama: la strage di cuori che Carter lascia dietro di sé. L’archeologo britannico, infatti, non solo intraprende una relazione d’amore con Lady Evelyn Herbert (Amy Wren), figlia di Lord Carnarvon – speculazione senza alcuna prova e criticatissima dai discendenti del Conte, ma giustificata dallo sceneggiatore Guy Burt come un ‘persistente rumor’ -, ma ha anche un flirt con la povera Maggie Lewis (Catherine Steadman), membro della missione a Tebe del Metropolitan Museum, prima sedotta e poi abbandonata. In questo caso, nessun lontano parente si è lamentato, non per merito di una maggior apertura mentalmente, ma perché la Lewis è un personaggio inventato. Tutti gli altri egittologi, invece, sono reali: Norman de Garis Davies, Herbert Winlock, Arthur Mace, Harry Burton, Arthur Callender ecc.
La cosa che mi spaventava di più era il modo in cui sarebbe stata presentata la fantomatica Maledizione di Tutankhamon; fortunatamente, però, in questo caso gli autori si sono attenuti alla verità. Viene infatti mostrata la morbosa attenzione che i media avevano nei confronti della scoperta che s’infranse contro la vendita dell’esclusiva (qui erroneamente attribuita a Carter quando invece fu opera di Carnarvon) al giornalista Arthur Merton del Times. Solo per questo motivo, gli altri giornali cominciarono a inventarsi bufale per vendere più copie. Nella serie viene effettivamente mostrato che il Conte (Sam Neill) morì per un’infezione provocata dal taglio di una puntura di zanzara e il famoso canarino, che sarebbe stato ingoiato da un cobra al momento dell’apertura della tomba, appare – vivo e vegeto – solo come riferimento alla storia. Di tutto questo, però, non era stato informato il ragno velenoso che ha morso Amy Wren mandandola in ospedale durante le riprese in Sud Africa (dove è stata ricreata la Valle dei Re)!
Una cosa che ho apprezzato particolarmente è stata l’attenzione nei confronti delle foto di Burton, spesso rinscenate con dovizia di particolari come si può vedere nell’esempio in basso.
Infine, menzione d’onore per il sedere del grande egittologo Flinders Petrie che esce nudo da una tomba per andare a bere un gin tonic fatto con alcol etilico e acido citrico. No comment…