Nei giorni scorsi, ricadeva l’anniversario di uscita, 30 e 25 anni, di due tra i più famosi film di Hollywood, rispettivamente “Indiana Jones e l’Ultima Crociata” e “Il Tempio Maledetto”. Così, ho pensato di parlare del capostipite della trilogia che racconta le avventure del Prof. Jones (damnatio memoriae su “I Teschi di Cristallo”), perché è una pellicola in gran parte ambientata in Egitto: “I Predatori dell’Arca Perduta”. Era il 1981 quando, da un’idea di George Lucas e grazie alla regia di Steven Spielberg, nacque un cult iconico che ha influenzato il mondo cinematografico (basti vedere quante imitazioni sono state girate nel tempo) e la cultura popolare. Da quel momento, milioni di bambini hanno cominciato a sognare di diventare archeologi credendo che sullo scavo si lavori con frusta e revolver. Ovviamente, non c’è niente di più lontano dalla professione archeologica, anche rispetto a quella degli anni ’30, periodo in cui è ambientato il film. Indy è molto più vicino agli esploratori ottocenteschi come Giovanni Belzoni piuttosto che a un docente universitario (insegna a Princeton). Lo scopo principale del protagonista è la ricerca di rare reliquie senza badare alla stratigrafia o al contesto circostante (una divertente lettera immaginaria elenca tutti i motivi per cui il professore avrebbe perso la sua cattedra).
Detto questo e avvertita la gente (soprattutto chi deve scegliere cosa fare da grande) che la realtà non è così, non posso non ammettere che “I Predatori dell’Arca Perduta” sia una pietra miliare (attenzione, non ho scritto “capolavoro”) della settima arte. Sono la persona meno oggettiva per fare una critica del genere, ma penso che tutti (o quasi) gli elementi siano perfetti: il soggetto, la regia, la colonna sonora di John Williams, la faccia di Harrison Ford (e pensare che per il ruolo era stato scelto Tom Selleck che, però, rifiutò perché impegnato con “Magnum P.I”) e, soprattutto, l’ironia con cui il film non si prende mai sul serio rendendo, per assurdo, accettabili anche le peripezie più esagerate. Alcune scene, come quella iniziale del masso gigante rotolante o quella della pistolettata al sicario egiziano (altra casualità: Indiana avrebbe dovuto bloccare la scimitarra con la frusta, ma tutta la troupe era stata colpita dalla dissenteria e lo stesso Ford pensò di semplificare così le cose), sono entrate nel mito nel periodo più pop della storia del cinema americano (gli anni ’80 hanno sfornato, tra gli altri, “Ghostbuster”, “Ritorno al Futuro”, “Terminator”, “E.T.”, “Guerre Stellari”).
Ma basta con lo zucchero e cominciamo a fare i pignoli. Di seguito riporterò i riferimenti, giusti o sbagliati, alla civiltà egizia presenti nel film e, quindi, sarò costretto a fare degli spoiler (ma tanto chi è che non l’ha mai visto?). Gli errori storici sono tanti e riguardano anche la situazione geo-politica tra le due guerre mondiali e l’allora stato tecnologico degli armamenti, ma sono spunti che lascio agli esperti del settore.
Siamo nel 1936 e Indiana, di ritorno da una sfortunata missione in Perù, viene contattato dai servizi segreti statunitensi in merito a un interessamento di Hitler per l’Arca dell’Alleanza, la cassa che conterrebbe le Tavole della Legge di Mosè. Effettivamente, il nazismo era caratterizzato da una corrente mistica che si nutriva di credenze occultistiche ed esoteriche, tanto che vennero finanziate missioni archeologiche in Francia alla ricerca del Santo Graal e in Tibet per arrivare alla mitica patria degli Ariani (consiglio di leggere “Egyptology from the First World War to the Third Reich“). Tornando alla storia, gli agenti informano Jones e il suo collega Marcus Brody che i tedeschi sono riusciti ad individuare la città di Tanis in Egitto dove, secondo la leggenda, si troverebbe l’Arca. Tanis, l’attuale San el-Hagar, era una città del Delta nord-orientale già nota nell’800 grazie agli scavi di Petrie e Mariette, quindi ben prima degli anni ’30 del XX secolo, e dove Montet scoprì nel 39-40 le ricchissime tombe intatte di Psusenne I, Amenemope e Sheshonq II. Corrisponde all’antica Djanet, luogo di nascita di Smendes (1078-1043 a.C.), fondatore della XXI dinastia, e capitale anche durante la XXII, in pieno Terzo Periodo Intermedio, ma probabilmente risale alla fine del Nuovo Regno quando venne abbandonata la ramesside Qantir (le numerose testimonianze di materiale di riuso attribuibili a Ramesse II, infatti, l’avevano fatta erroneamente interpretare come Pi-Ramesse).
Nella spiegazione che Jones e Brody danno della leggenda, s’intromette lo scempio del doppiaggio italiano che spazza via la ricostruzione storica, la tradizione religiosa ebraica e la credibilità del film stesso. Si viene a sapere che un fantomatico faraone di nome Shisha (il narghilè egiziano; scontata la domanda su cosa si sia fumato il responsabile delle traduzioni dei testi) nel 98 a.C. (quando in realtà regnava Tolomeo X) conquistò Gerusalemme e riportò a Tanis il tesoro del Tempio di Salomone, Arca inclusa. In realtà, la versione originale cita uno Shishak e lo colloca al 980 a.C., in riferimento al passo biblico (Re 14:25-26) che racconta la vera invasione di Canaan di Sheshonq I (XXII din., 945-924). Quando uno zero e una k in meno possono stravolgere il senso di un racconto… L’Arca, poi, sarebbe stata nascosta in una camera segreta, il “Pozzo delle Anime” (esiste veramente una cavità chiamata così, ma a Gerusalemme, sotto la “Cupola della Roccia”), per un anno, fino a quando l’ira di Dio si sarebbe abbattuta su Tanis distruggendola con una tempesta di sabbia. Dagli scavi, invece, sappiamo che la città fu abitata fino al VI sec. d.C., quando subì le inondazioni del vicino lago di Manzana. Altri errori sulle Sacre Scritture riguardano le due tavole dei Dieci Comandamenti che non vengono collocate rotte nell’Arca, ma riconsegnate di nuovo integre da Dio a Mosè (Deuteronomio 10:1-5) sul monte Oreb e non Herob. In più, non è scritto da nessuna parte che l’Arca possa “spianare le montagne e portare alla distruzione intere regioni”, ma immagino si dovesse cercare un appiglio per giustificare l’intervento del Führer.
Indiana Jones accetta l’incarico di arrivare per primo alla reliquia, ma per farlo sa che dovrà utilizzare un amuleto, l’Asta di Ra, composto da un bastone sormontato da un medaglione (qui a sinistra una ricostruzione dallo stampo originale degli Elstree Studios) scoperto nel 1926 dal Dott. Ravenwood, suo defunto insegnante nonché padre dell’ex fiamma Marion. Appare subito che il manufatto abbia poco di egizio, inoltre, l’iscrizione del bordo è in alfabeto fenicio. Non chiedetemi il perché. La pietra rossa al centro serve a indirizzare la luce del sole verso l’ubicazione del Pozzo delle Anime, a patto di collocare l’amuleto all’ora e nel punto giusti nella “Stanza del Plastico” (Map Room), sala già scavata dai nazisti dove è conservata la riproduzione in scala di Tanis. Così, dopo essere passato per il Nepal dove recupera ragazza e medaglione, il nostro eroe arriva al Cairo. Quella che appare, però, non è la metropoli egiziana ma Kairoum in Tunisia. Infatti, nessuna scena è stata girata in Egitto. Comunque, l’esimio professore di archeologia non è in grado di decifrare l’iscrizione e viene portato dall’amico Sallah presso un vecchio imam. Anche qui non chiedetemi perché un imam cairota debba conoscere una lingua morta. In ogni caso, il testo dice: «Non si deve violare l’Arca dell’Alleanza» e «Alta 6 Kadam, ma togliete un Kadam per onorare il Dio degli Ebrei a cui appartiene l’Arca». Viene specificato che 6 kadam corrispondono a circa 72 pollici (1,82 m), quindi 5 cadam sono 1,52 m (il calcolo non è inutile; ricordatevi questa misura).
Grazie a quest’informazione, Indiana s’intrufola nell’enorme cantiere dei nazisti diretto dal rivale francese Belloq e si cala nella Sala del Plastico (vedi foto in alto), una struttura ipogea con volta a botte che somiglia molto alle tombe di Deir el-Medina (infatti, la coppia di sciacalli Anubi/Upuaut nella lunetta di fondo ricorda la decorazione della sepoltura di Sennedjem, la TT1). Lungo le pareti ci sono scene chiaramente riprese dalle vignette del Libro dei Morti, come il particolare con Osiride della psicostasia nel Papiro di Hunefer. Per quanto riguarda il modellino, si vedono una piccola piramide, due obelischi sproporzionatamente alti, un tempio da un’improbabile facciata porticata e due colossi solitari (dietro il primo obelisco) che, come originariamente anche quelli di Memnone, avrebbero dovuto trovarsi davanti a un pilone. Una tavola traforata, invece, funge da base per l’Asta di Ra e, per sua fortuna, l’archeologo questa volta riesce a tradurre l’iscrizione geroglifica (non sarò così pignolo da dire che i segni non hanno alcun significato), anche grazie ad appunti scritti sulla sua agendina, magari copiati dalla prima edizione dell’Egyptian Grammar di Gardiner (1927). Alle 9:00 in punto, la luce del sole passa attraverso l’occhio del volatile (ma l’asta sormonta Harrison Ford che è alto 1,85 m) e punta in maniera un po’ scontata sull’altare nella corte del tempio principale.
Dopo aver preso le misure, Jones individua con un teodolite il luogo dove scavare su una collinetta (anche se nel plastico sembrava fosse tutto in piano). Alla rimozione di una lastra, viene aperto l’accesso al Pozzo delle Anime con la comparsa di un pupazzoso colosso di Anubi con ghigno e bocca spalancata verso l’alto, uno dei quattro telamoni che sorreggono il soffitto. Questa scelta si allontana moltissimo dalle rappresentazioni statiche egizie ed è un evidente punto di contatto, forse anche voluto, con i peplum degli anni ’50. Finalmente siamo al dunque! In fondo alla stanza c’è il sarcofago in pietra nera che contiene l’Arca. Ma qui vanno segnalate due divertenti easter egg che rimandano a “Guerre Stellari” (il cui regista, ricordo, è anche l’ideatore del soggetto di Indiana Jones). Su uno dei pilastrini dorati che circondano il sarcofago, si vede un bizzarro segno geroglifico che rappresenta la principessa Leila mentre inserisce i piani segreti della Morte Nera dentro C1-P8 (a sinistra nella foto in basso). In uno dei rilievi alle pareti, invece, c’è ancora il piccolo robot insieme a C-3PO (a destra).
Prima di passare alla scoperta dell’Arca, riporterò la descrizione dell’oggetto data dalla Bibbia (Esodo 25:10-21):
[10]Faranno dunque un’arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. [11]La rivestirai d’oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d’oro. [12]Fonderai per essa quattro anelli d’oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. [13]Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro. [14]Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare l’arca con esse. [15]Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell’arca: non verranno tolte di lì. [16]Nell’arca collocherai la Testimonianza che io ti darò. [17]Farai il coperchio, o propiziatorio, d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza. [18]Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. [19]Fa’ un cherubino ad una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio alle sue due estremità. [20]I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio. [21]Porrai il coperchio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò.
Noterete da soli le differenze. Se è più difficile regolarsi con le dimensioni (l’Arca del film sembra non corrispondere ai 110×66 cm dichiarati nell’Esodo), è chiaro che ci sia un errore nella collocazione degli anelli, al centro invece che alla base, e dei cherubini, sopra al coperchio piuttosto che all’estremità. La modanatura a gola egizia, invece, non è così fuori luogo perché utilizzata anche nel Levante e poi gli Ebrei in fuga erano pur sempre egiziani di nascita. L’Arca finisce in mano ai tedeschi e Indiana, rimasto intrappolato nel Pozzo, si crea un varco facendo cadere uno dei pupazzoni di polistirolo su un muro. La via di fuga passa per un corridoio pieno di mummie stile “copertina degli Iron Maiden” in piedi (i sarcofagi sono verticali solo nei musei) e sbocca in un naos che affiora in superficie (Belloq proprio non se ne era accorto?). E qui termino la lista degli bloopers “egittologici” con il rilievo sulla facciata della cappella che rappresenta una classica scena amarniana con Akhenaton e il disco solare (vedi in basso), anacronismo di circa 400 anni.
Il resto della storia è ben noto e si svolge fuori dall’Egitto. Nonostante tutti questi errori, “Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta” rimane un gran film, anche se, secondo me, non il migliore della serie. E voi cosa ne pensate? Avete notato qualche particolare che mi è sfuggito? O volete che analizzi altre pellicole? Fatemi sapere commentando l’articolo.