In Egitto sarebbero state individuate tracce della pandemia che sconvolse il mondo conosciuto nel III sec. d.C., la cosiddetta “Peste di Cipriano“. Questa epidemia, che uccise anche gli imperatori Ostiliano (251) e Claudio il Gotico (270), prende il nome dal vescovo di Cartagine che la descrisse come prima avvisaglia della fine del mondo, anche se, in realtà, si trattava di morbillo o vaiolo. La “peste” potrebbe essere arrivata almeno fino a Tebe secondo i risultati della Missione Archeologica Italiana a Luxor diretta da Francesco Tiradritti che ha analizzato i resti umani scoperti tra il 1997 e il 2012 nel complesso funerario di Harwa (TT37) e Akhimenru (TT404) a el-Asasif. La struttura, infatti, sembra essere stata riutilizzata come fossa comune per la sepoltura dei cadaveri infetti prima carbonizzati e poi ricoperti da calce per bloccare la diffusione della malattia. Purtroppo non è stato possibile estrarre il DNA dalle ossa perché danneggiato, quindi non si ha la conferma sulla patologia, ma l’accostamento con l’infausto evento è stato verificato con la datazione della ceramica.
La tomba di Harwa, la sepoltura privata più estesa d’Egitto con una superficie di circa 4000 m², apparteneva al “Gran Maggiordomo” della Divina Adoratrice Amenirdis I della XXV din. (inizi VII sec. a.C.) a cui successe Akhimenru che si fece inumare nella stessa area.