L’archeologia biblica e lo studio di antichi testi religiosi hanno sempre fatto presa sulla gente per i risvolti misteriosi e controversi che vengono amplificati ad arte dai media (non a caso, tra tutti gli articoli che ho scritto su questo blog nel 2014, il più letto è risultato quello sul papiro dell’Ultima Cena). Così, soprattutto nel web, circolano decine di scoop, o sedicenti tali, su vangeli apocrifi, matrimoni di Gesù, Opus Dei e via dicendo. Da un po’ di tempo, leggo una di queste notizie che, se non fosse per le conseguenze disastrose che sta provocando, mi avrebbe strappato più di una risata. Avevo deciso di ignorarla, ma visto che in questo periodo sembra sia balzata di nuovo agli onori della cronaca, è arrivato il momento di chiarire alcuni punti. Qui riportarò le mie riflessioni, sicuramente insufficienti, ma potete leggere le osservazioni molto più autorevoli di studiosi (come Paul Barford, Roberta Mazza e Brice Jones) che, ormai dal 2012, stanno criticando aspramente i risultati di una strana ricerca.
Un gruppo di studiosi guidati da Scott Carroll, ex direttore della “Green Collection” (una raccolta di oltre 40.000 manoscritti biblici e altri reperti correlati conservati presso il “Museum of the Bible” di Washington D.C.), ha ideato un metodo “innovativo” per estrapolare antichi documenti dalle maschere funerarie delle mummie egizie. Infatti, il cartonnage con cui erano realizzate è fatto di strati di lino o papiro ricoperti di stucco dipinto. Il papiro era un materiale molto costoso, quindi si tendeva a riciclare fogli già usati che, a volte, presentano ancora i testi intatti. Il geniale metodo, che permette di sciogliere il collante e conservare l’inchiostro, consiste, come si può vedere dalla foto, nel mettere in ammollo le maschere in acqua e Palmolive (non ho scelto una marca a caso ma quella indicata da Carroll. Sponsorizzazione? Particolari proprietà del sapone? Unico prodotto che era in casa in quel momento?).
In questo modo, si sarebbero recuperati appunti amministrativi, lettere personali, testi filosofici e, addirittura, copie di Omero. Pazienza se, così facendo, le maschere vengono distrutte; ma tanto, come ha affermato Josh McDowell, si tratta di oggetti di scarsa qualità. Una tale distinzione tra “figli e figliastri” nei confronti dei reperti sarebbe come minimo strana in archeologia e, infatti, McDowell non è un addetto ai lavori ma un apologista evangelico e il teorico del gruppo (vi prego, leggetevi i curricula!). Un’altra sua uscita poco felice è stata quella sul rischio di danneggiare supporti così delicati: “Dal momento che i manoscritti sono i nostri, è tutto OK!”. Alcuni pezzi, infatti, appartengono alla sua collezione privata, mentre le altre maschere proverrebbero da musei, università o collezionisti privati che, dopo il procedimento, dovrebbero tornare in possesso dei papiri risultanti. Una porcheria del genere in Italia non sarebbe concepibile, ma, evidentemente, l’apparato legislativo americano permette ai proprietari di fare qualsiasi cosa con le loro antichità.
Tutti i testi studiati saranno pubblicati prima della fine del 2015, anche se i precedenti annunci prevedevano il 2013 e poi il 2014. Ogni persona che partecipa al progetto ha sottoscritto un accordo di riservatezza con il divieto di divulgare qualsiasi dato. Ma, già nel 2012, Dan Wallace, docente presso il Dallas Theological Seminary, aveva fatto trapelare la scoperta più importante (come se non fosse stato tutto previsto…): il più antico vangelo conosciuto. Ad oggi, le prime attestazioni canoniche del Nuovo Testamento risalgono al II secolo (in particolare, il “Papiro 52”, con il Vangelo di Giovanni, al 125 circa), mentre un piccolo frammento del Vangelo di Marco ricavato da una maschera sarebbe stato datato a prima del 90. Tale conclusione sarebbe il frutto di un mix di analisi paleografica e C14, ma, in mancanza del sarcofago e dei nomi degli esperti che hanno effettuato la datazione, sembra solo una congettura. E pur prendendo per buono il radiocarbonio, il papiro, come è successo per le maschere, potrebbe essere stato riutilizzato in seguito.
In attesa della fatidica pubblicazione, è difficile approfondire ulteriormente la faccenda, ma destano non poche perplessità le metodiche dello studio e la presenza ingombrante di McDowell che sta sfruttando queste notizie per confermare le sue tesi estremiste sulla storicità assoluta di ogni nozione scritta sulla Bibbia, compresi Diluvio Universale e creazionismo. E voi vi fidereste di uno studio sulla salubrità degli hamburger finanziato da McDonald’s?