“L’Egitto di Provincia”: il Museo Archeologico Nazionale di Parma

"L'Egitto di Provincia": il Museo Archeologico Nazionale di Parma - Djed Medu

Qualche tempo fa, vi avevo chiesto di mandarmi la vostra recensione personale per la rubrica “L’Egitto di Provincia” e l’invito è stato raccolto da Valentina Di Rienzo che ci scrive di un museo che non ho mai visitato, quindi le lascio volentieri la “parola”.

Il Museo Archeologico Nazionale di Parma è situato in un’ala del Palazzo della Pilotta, il monumentale complesso di edifici con i caratteristici cortili e i porticati dal rivestimento in mattoni rustici edificato nel XVI secolo al fine di integrare le residenze del ducato Farnese. La struttura, parzialmente distrutta dai bombardamenti durante la Seconda Guerra mondiale, ospita la Galleria Nazionale di Parma (la cui ricca collezione può vantare, fra le altre, opere di Canaletto, Correggio, Tintoretto e Leonardo da Vinci), la Biblioteca Palatina, l’Accademia di Belle Arti e il Teatro Farnese, costruito all’inizio del XVII secolo in un ampio vano del palazzo che, sino ad allora, aveva ospitato una sala d’armi. Anch’esso distrutto durante la Seconda Guerra mondale, il Teatro fu ricostruito a metà degli anni ’50 recuperando il materiale e il progetto originale. Fondato nel 1760, il Museo Archeologico ospita una ricca collezione di reperti preistorici, numerose sculture romane e fu arricchito, nella prima metà dell’Ottocento, dalle collezioni numismatiche, dalle ceramiche greche, etrusche e italiote acquisite dalla duchessa Maria Luigia d’Asburgo Lorena alla quale si deve anche la raccolta di antichità egizie.

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Nonostante sia di modeste dimensioni, la collezione egizia parmense ospita antichità di un certo valore storico e scientifico. La sezione è composta da circa duecento reperti, quasi tutti esposti. I pezzi più antichi risalgono alla XI dinastia, mentre i più recenti al I secolo d.C. Formatasi fra il 1826 e il 1845, la collezione fu voluta proprio dalla duchessa Maria Luigia allo scopo di far conoscere le civiltà dell’antico Egitto ai sudditi. Michele Lopez, l’allora direttore del museo, si occupò di raccogliere una selezione di reperti che fossero in buono stato e differenziati fra loro per offrire una panoramica il più possibile ampia. Alcuni ushabti, una statuetta in bronzo, degli amuleti e uno scarabeo furono donati al museo dal pittore milanese Molteni mentre, nel 1828, il direttore acquistò due scarabei sigillo da Pietro Gennari.

I pezzi di maggiore rilievo furono acquistati dal viaggiatore Francesco Castiglioni nel 1830, quando Maria Luigia offrì al direttore Lopez i fondi necessari a finanziare la sezione. Il sarcofago appartenuto a Shepsesptah, di forma antropoide, in sicomoro, risale alla XXVI dinastia. Il viso del defunto è decorato con foglia d’oro; sul petto è dipinta la collana usekh, fili di perle e fiori e la dea Nut con il disco solare e le ampie ali distese. Più in basso, il capitolo LXXII del Libro dei Morti è dipinto in undici colonne di geroglifici. Il coperchio antropomorfo di mummia in legno stuccato e finemente decorato è datato alla XXI dinastia e proviene da Deir el Bahari. Un altro sarcofago antropomorfo, anch’esso in legno dipinto, appartenne al dignitario Osoreris di cui si è conservata la mummia (vedi a sinistra) con un pettorale in cartonage con decorazioni simili a quelle del sarcofago, fra cui la rappresentazione del nodo di Iside. Proveniente da Zagazig, Basso Egitto, fu donato al museo nel 1885. Il frammento di papiro del generale dell’esercito e ammiraglio Amenothes è composto da sedici colonne in cui sono riprodotti i capitoli XXIX e XXX del Libro dei Morti e rappresenta, inoltre, la cerimonia della pesatura del cuore. È stato datato alla XVIII dinastia e si ritiene provenga da Tebe.

Sempre nel 1830, furono acquistati i due ostraka (il primo è un frammento in pietra grigia, in copto; il secondo è un frammento di vaso in terracotta con scritte in lingua greca invisibili ad occhio nudo), i bronzetti, una collana funeraria, gli oggetti in legno (fra cui il poggiatesta e la barca funeraria) e due vasi canopi in alabastro. Entrambi i coperchi dei canopi non corrispondono alla divinità indicata sull’iscrizione del vaso; risalgono alla XXVI Dinastia. L’ultimo sarcofago esposto nella collezione è a cassa rettangolare in legno stuccato e dipinto in colori vivaci. Risalente all’inizio della XII dinastia, proviene da Sepa, Alto Egitto. Fu acquistato nel 1832 insieme a tre collane funerarie, uno scarabeo del cuore, le statuette in bronzo, la statuetta femminile di Esoroenis (XI dinastia, il pezzo più antico della sezione) e il frammento di papiro tolemaico per Harimuthes, da Tebe (foto in basso). Scene del rituale funerario sono vergate nelle iscrizioni in inchiostro nero e rosso su un papiro di quasi due metri di lunghezza.

PAPIRO FUNERARIO DI HARIMUTHES
Papiro di Harimuthes

Il quarto papiro esposto è in lingua ieratica e presenta sul recto il Libro dell’Amduat e, sul verso, il nome del defunto. Anch’esso proveniente da Tebe, è datato tra il I e il II secolo d.C. La serie completa di vasi canopi appartenuti al defunto Djedmutefonkh (vedi in basso) proviene da Tebe ed è datata alla XXVI dinastia; fu acquistata fra il 1844 e il 1845 insieme ad alcuni ushabti e bronzetti di divinità e animali sacri, due scarabei del cuore e altri bronzetti, fra i quali due statuette di Iside. L’ultima integrazione risale al 2009 ed è costituita dalla collezione Magnarini di scarabei sigillo che è stata concessa in prestito al Museo Archeologico dalla Fondazione Cariparma.

CANOPI DJEDMUTEFONKH
Canopi di Djedmutefonkh

Per altre foto della collezione: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.834609406586582.1073741839.650617941652397&type=1