Ricordate il caso Görlitz-Erdmann? I due ciarlatani beccati a rubare campioni di roccia all’interno della Grande Piramide di Giza per provarne la datazione a 13.000 anni fa? Se non ne avete mai sentito parlare, qui potete trovare tutti i particolari della vicenda. In ogni caso, i due tedeschi, più il loro cameraman, erano stati condannati in contumacia (ovviamente perché scappati dall’Egitto) a 5 anni di carcere, soprattutto per aver raschiato pigmenti di un cartiglio di Cheope. Ma, nonostante la richiesta ufficiale all’Interpol di un mandato di cattura internazionale, in patria se l’erano cavata solo con una multa di 1200 euro. I sei egiziani accusati di averli aiutati, invece, sono stati puniti con 22 mesi di reclusione. Ora, però, il quotidiano regionale della Bassa Sassonia Mitteldeutsche Zeitung fornisce qualche speranza ai due “pseudo-archeologi” segnalando che gli avvocati di uno dei complici, il tour operator Fergany Al Komaty, sono riusciti a far riaprire il caso e a far liberare il loro assistito dopo 18 mesi. Poi, sono stati rilasciati anche gli altri cinque, tre ispettori del Ministero delle Antichità e due guardiani del sito. Sembra, infatti, che alcuni capi d’imputazione siano stati messi in dubbio e che, per questo, sia necessario iniziare un nuovo processo. Erdmann e Görlitz sperano che cada l’accusa più grave che loro hanno sempre rigettato, cioè quella di aver danneggiato il cartiglio reale tracciato in rosso nella “Campbell’s Chamber”.