Ieri (23 gennaio), l’Administrative Prosecution Authority, l’organo egiziano che controlla il comportamento di tutti i funzionari pubblici, ha deciso di rinviare a giudizio 8 ex dipendenti del Museo Egizio del Cairo sospettati di essere i responsabili dei danni provocati nel 2014 alla maschera di Tutankhamon. L’indagine interna ha riscontrato gravi negligenze e violazioni dei normali standard scientifici e professionali durante il “trattamento” di un reperto che ha un valore inestimabile per il Paese. Ricordo che, il 12 agosto 2014, durante la sostituzione dell’impianto d’illuminazione della teca della maschera, era stata staccata per sbaglio la barba posticcia, poi rincollata impropriamente, senza avvertire né i diretti responsabili del museo né i vertici del Ministero delle Antichità, con della resina epossidica. Il materiale legante in eccesso era ben visibile (facendo circolare le prime voci inascoltate fino al gennaio 2015, quando il ministro El-Damaty fu costretto ad ammettere l’incidente fino ad allora negato), così da indurre gli stessi autori del “restauro” a tentare di rimuovere la colla in due occasioni, il 30 ottobre e il 2 novembre, graffiando, però, la superficie del mento.
Alla sbarra del tribunale disciplinare finiranno l’ex Direttore Generale del museo, accusato di aver permesso gli interventi successivi all’errato incollaggio, l’ex responsabile del dipartimento di Restauro, Elham Abdel Rahman (già trasferita al piccolo Museo delle Carrozze Reali), accusata di aver trascurato il suo ruolo di vigilanza e di non aver documentato lo stato della maschera prima e dopo il trattamento, i due restauratori, tra cui il marito della Rahman, che hanno materialmente causato il danno (nella foto) e altri 4 tecnici.