(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)
Probabilmente avrete già visto l’immagine qui sopra perché è circolata molto su Facebook dove numerose pagine e gruppi di fantarcheologia la utilizzano come prova dei collegamenti transoceanici tra civiltà del passato. La somiglianza tra i due soggetti, infatti, è incontrovertibile e attesterebbe l’arrivo degli antichi Egizi in Sud America migliaia di anni prima dei conquistadores spagnoli, proprio come afferma Dominique Görlitz, nostra vecchia conoscenza (indagato insieme al socio Erdmann per aver prelevato illecitamente campioni dalla Grande Piramide) che ha tentato l’attraversata dell’Atlantico con una riproduzione della barca solare di Cheope.
Ma chi sono le due figure femminili ritratte? A sinistra, troviamo una riproduzione, capovolta, di un rilievo dalla tomba di Seti I (KV17), ora al Louvre: Hathor accoglie il faraone nell’Aldilà porgendogli la collana menit, simbolo di protezione. A destra, invece, c’è una foto scattata negli anni ’60 a un reperto rinvenuto in Ecuador che ha la stessa posa della dea egizia. La statuetta ecuadoregna farebbe parte di un misterioso tesoro di oggetti metallici, molti addirittura in oro, scoperto nella Cueva de los Tayos, grotta sul versante amazzonico delle Ande, nella sperduta regione di Morona-Santiago. Qui, era arrivato nel 1923 Padre Carlo Crespi (1891-1982; immagine in alto), missionario salesiano che operò tra le tribù natie dei Jivaro/Shuar e che, nel 1927, girò di persona il primo video su questo popolo. Furono proprio gli indios a portare a Crespi centinaia di reperti dall’inspiegabile influenza vicino-orientale e ricoperti da segni di una lingua sconosciuta. Così, il sacerdote milanese, considerandoli tracce dei contatti tra popoli più antichi del Diluvio Universale, ottenne dal Vaticano il permesso di aprire un museo nella cittadina di Cuenca, presso la chiesa di Maria Auxialiadora. La collezione di oltre 50.000 pezzi comprendeva cosiddetti OOPart dalla foggia egizia, assira, cinese e africana, oltre a una serie di fogli metallici incisi con la lingua “antidiluviana”. Gran parte della raccolta, però, andò distrutta nel 1962 a causa di un incendio.
La vicenda divenne celebre in tutto il mondo solo nel 1973 con l’uscita del libro “L’Oro degli Dei”; l’autore, Erich von Däniken, raccontava che l’argentino-ungherese János Juan Móricz, guidato dalle indicazioni di Padre Crespi, avrebbe scoperto tunnel artificiali nella Cuenca de los Tayos pieni d’oro e di documenti metallici con la storia degli alieni e di una civiltà perduta. Tuttavia, von Däniken, sbugiardato in parte da Móricz e incalzato da uno scettico giornalista di Playboy (ebbene sì: l’intervista si trova proprio sul numero di agosto 1974 della rivista per adulti), ritrattò alcune cose scritte e ammise di non essere mai stato nella caverna, ma anche che i misteriosi oggetti esistevano davvero, anche se nascosti per sempre in una piramide sotterranea. Il clamore suscitato convinse l’ingegnere scozzese Stan Hall a organizzare un’imponente spedizione – di cui faceva parte anche l’ormai ex astronauta Neil Armstrong – alla ricerca di indizi su Atlantide. Nella caverna, ovviamente, non trovarono niente, ma Hall volle lo stesso incontrare Crespi e vedere la sua collezione. Di seguito, il video del 1976:
Dal filmato si evincono la scarsa lucidità del prete e l’aspetto ridicolo degli oggetti. Già in precedenza, infatti, diversi archeologi – come il danese Olaf Holm, direttore del Museo Nacional de Quito – avevano appurato che si trattava solo di riproduzioni moderne in alluminio, ottone e rame; in pratica, souvenir turistici fatti con scarti di tubature. Nonostante ciò, Padre Crespi non va considerato come un truffatore o un ciarlatano perché era genuinamente spinto da uno spirito umanistico nel raccogliere reperti storici. Non a caso, molte delle sue acquisizioni erano autentiche antichità precolombiane, soprattutto ceramiche, e per questo poi furono comprate dal Banco Central del Ecuador che le ha collocate nel museo privato della banca. Le lastre metalliche, invece, erano state rimandate indietro perché palesemente false e ora si trovano abbandonate tra diversi vecchi edifici di Cuenca. In conclusione, l’anziano sacerdote, obnubilato dalla demenza senile, era stato raggirato dagli artigiani locali che gli hanno venduto per anni patacche copiate dalle illustrazioni dei libri di storia.
L’unico antico egizio arrivato in Ecuador è stato Ramesse II che ora, ovviamente in copia, si trova al centro di una rotonda della capitale!