Quando si dice il caso. Giorni fa, ho ripostato sulla pagina Facebook del blog un vecchio articolo del 2012 che parlava di uno studio della University of Manchester su una protesi ortopedica di circa 3000 anni. L’alluce, costruito in tre parti con legno e cuoio, era stato trovato a Sheikh Abd el-Qurna, Tebe Ovest, ancora attaccato al piede destro della mummia della figlia di un sacerdote vissuta tra il 950 e il 710 a.C. Alla sacrosanta domanda di un follower sul perché ci fosse un “forse” nel titolo, ho risposto che le analisi andassero verificate per appurare l’effettiva efficacia dell’oggetto.
Proprio la scorsa settimana, un altro studio ha probabilmente tolto ogni dubbio sul primato di antichità di questa protesi. Nell’ambito del progetto Life Histories of Theban Tombs, ricercatori dell’Università di Basilea hanno sottoposto il reperto – oggi conservato nel Museo Egizio del Cairo – alle più avanzate analisi tecnologiche (microscopio elettronico, raggi X e TAC) dell’Istituto di Medicina Evoluzionistica dell’Università di Zurigo. A quanto pare, il dito artificiale è stato riparato e perfezionato più volte per adattarlo al meglio alla forma del piede e la cinghia di cuoio risulta ben robusta per una presa salda. Quindi, questo certosino lavoro artigianale mirava al miglioramento dell’estetica e del comfort rendendo la protesi non una semplice aggiunta simbolica post mummificazione ma uno strumento funzionale all’uso in vita.