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Tre giorni fa, alla veneranda età di 95 anni, è venuto a mancare Stan Lee, “L’Uomo” ha portato una piccola casa editrice a diventare un colosso economico mondiale e che, insieme ai suoi collaboratori, ha inventato un universo sconfinato di personaggi poi divenuti iconici. Devo ammettere però di non essere un grande consumatore dei fumetti e quindi – mi scuseranno i veri fan – di conoscere i suoi lavori quasi esclusivamente dalle recenti riproposizioni cinematografiche dove, fa l’altro, compariva sempre in divertenti camei (foto a sinistra). Tuttavia, mi permetto di ricordarlo comunque nella rubrica “blooper egittologici” proprio perché alcuni dei film basati sulle strisce della Marvel Comics traggono piccoli o grandi spunti dalla civiltà dell’antico Egitto.
D’altronde, per riempire 50 anni di storie ambientate tra USA, nazioni di tutto il mondo, galassie lontane e addirittura realtà parallele, Stan Lee e gli altri sceneggiatori della Marvel hanno dovuto attingere idee dalla società contemporanea così come da miti e leggende del passato. Così, accanto a Thor e Loki della tradizione norrena, ad esempio, abbiamo anche divinità egizie raggruppate sotto l’Enneade Eliopolitana (termine molto più generico della realtà perché comprende Anubi, Bastet, Bes, Geb, Nut, Horus, Osiride, Iside, Khonsu, Nefti, Ptah, Seth, Shu, Tefnut ed altri), faraoni del calibro di Cheope, Tutankhamon, Ramesse II, Hatshepsut, Akhenaton e Cleopatra e personaggi puramente di fantasia come Rama-Tut, nemico dei Fantastici Quattro, e Monolito Vivente, uno dei pochi a tener testa a Hulk. Ma, restando in Egitto, la creatura più celebre di Lee, la cui fama è dovuta soprattutto alle trasposizioni sul grande schermo, è Apocalisse, il più antico mutante della storia.
Apocalisse, il cui vero nome è En Sabah Nur (in arabo “La luce del mattino”), è il primo mutante ad essere nato sulla faccia della Terra e, per le sue caratteristiche, potenzialmente il più forte. Se ci limitiamo ai film della Marvel, la sua prima apparizione si trova nella scena dopo i titoli di coda di “X-Men – Giorni di un futuro passato”, in cui lo vediamo ancora giovane mentre, di fronte a un’enorme folla che lo acclama, costruisce una piramide spostando massi con la telecinesi (ed ecco la risposta alla domanda più frequente nel mondo dell’egittofilia!).
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La pellicola successiva, “X-Men – Apocalisse” (2016, regia di Bryan Singer), è interamente dedicata a lui (Oscar Isaac) e alla lotta contro il gruppo di supereroi mutanti messo insieme dal Professor X (James McAvoy). Ma ancor prima di arrivare allo scontro, si inizia con un flashback che mostra un Egitto predinastico che, nel 3600 a.C., appare già molto avanzato con una struttura amministrativa unitaria e consolidata, piramidi e altri edifici monumentali, lunghe iscrizioni in geroglifico. Ma è inutile star qui a sindacare sull’attendibilità storica dell’intro quando c’è un personaggio che può materializzare oggetti con la forza della mente. En Sabah Nur, faraone venerato come un dio, è portato in processione su una barca sacra dorata in cui si può leggere “Apokalipse” nel cartiglio (immagine a sinistra). Il corteo, accompagnato dai Quattro Cavalieri con le maschere di Anubi, Seth, Horus e Sekhmet (sì, il cavallo non era stato ancora introdotto nella Valle del Nilo), arriva all’interno di una piramide in cui si tiene un rituale sacro per la trasmissione dell’anima di Apocalisse nel corpo di un altro mutante con il potere della rigenerazione (quello di Wolverine, in sostanza). Ma in questo tentativo di ottenere l’immortalità, s’intromette un gruppo di ribelli che, facendo saltare solo un paio di pilastri portanti, provocano il crollo dell’intera piramide (a quanto pare, gli edifici costruiti con la telecinesi non sono a norma) e sigillano il “falso dio” per l’eternità.
Tuttavia, purtroppo per l’umanità, nel 1983 i membri di una società segreta chiamata “Ashir En Sabah Nur” (il cui simbolo è un’ankh incrociata con una A) trovano il loro messia ancora schiacciato dal pyramidion d’oro nel sottosuolo del Cairo e riescono a risvegliarlo. Il mutante rimane subito disgustato dalla società moderna creata dai deboli e corrotti uomini e decide di distruggere ogni forma di tecnologia per poi regnare sui pochi sopravvissuti. Così, per portare avanti i suoi intenti, costruisce una nuova piramide con le macerie della città e nomina altri Quattro Cavalieri che lo affiancheranno: Magneto (Michael Fassbender), Tempesta, Angelo e Psylocke. Ovviamente, come in ogni buon cinefumetto che si rispetti, gli X-Men rovineranno il piano del cattivo salvando il mondo.
Non occorre approfondire il resto in questa sede perché la parte antico-egiziana si limita soprattutto ai 7 minuti che precedono i titoli di testa. In generale, tralasciando le già citate esagerazioni anacronistiche nella scenografia, si nota subito la mano di un egittologo. I dialoghi iniziali, infatti, sono in perfetto medio-egiziano grazie alla consulenza come “dialect coach” di Perinne Poiron, dottoranda in egittologia tra l’Université du Québec a Montréal e la Sorbona di Parigi e una degli esperti interpellati per la realizzazione del videogame ambientato alla fine dell’età tolemaica Assassin’s Creed: Origins.