Sappiamo tutti quanto fosse importante per gli antichi Egizi la mummificazione. L’integrità del corpo fisico del defunto, infatti, era fondamentale perché l’anima continuasse a vivere nell’aldilà. Tuttavia, nonostante la mole di documenti scritti che sono arrivati fino a noi, conosciamo veramente poco del processo d’imbalsamazione e paradossalmente le principali fonti sulle tecniche impiegate dai sacerdoti per trattare i cadaveri sono indirette. Nelle “Storie” di Erodoto (II, 86-88), in particolare, leggiamo dei tre tipi di mummificazione in base al prezzo/qualità, dell’estrapolazione del cervello dal naso, dell’estrazione degli organi dall’addome, dei canonici 70 giorni nel natron; Diodoro Siculo, invece, nella “Biblioteca storica” (I, 91), dice che il cuore veniva lasciato nel petto, descrive i tipi di oli e unguenti usati per profumare il corpo e aggiunge il particolare delle ingiurie e della sassaiola rituale nei confronti di chi incideva il fianco del morto.
Al di là dei resoconti degli storici classici, finora le testimonianze egizie originali erano pochissime, e in particolare ricordiamo il “Rituale d’imbalsamazione”, disponibile in tre versioni di epoca romana (P. Boulaq 3, P. Louvre 5158, P. Durham 1983.11+P.San Pietroburgo 18128), i papiri demotici di epoca tolemaica dei cosiddetti “Archivi degli imbalsamatori” da Hawara e, seppur riferito a un animale, il “Rituale d’imbalsamazione di Api” (P. Vindob 3873). Per questo colpisce la recente scoperta di un nuovo manuale di mummificazione, effettuata da Sofie Schiødt, egittologa dell’Università di Copenaghen. Nella sua tesi di dottorato, la Schiødt si è occupata dell’edizione di un papiro medico di Nuovo Regno, il cosiddetto Papiro Louvre-Carlsberg, chiamato così perché una metà è conservata a Parigi e l’altra appartenente alla collezione Carlsberg, oltre 1400 manoscritti – molti dei quali ancora da studiare – conservati presso l’università danese. Il testo, dedicato all’erboristeria e a malattie della pelle, ha inaspettatamente rivelato anche tecniche finora sconosciute per la conservazione dei corpi; così oltre ad essere il secondo papiro medico più lungo con i suoi 6 metri, è quindi il più antico manuale sulla mummificazione conosciuto risalendo al 1450 a.C..
Tale definizione non è impropria perché il testo sembra un vero e proprio promemoria per chi effettivamente doveva occuparsi dei vari procedimenti, tanto che i passaggi più semplici, come l’uso del natron, sono omessi. Colpisce in particolare l’attenzione rivolta nel trattamento del viso con tecniche quasi da moderna estetista. A intervalli di quattro giorni, dopo una processione rituale, il volto veniva coperto da un panno di lino rosso imbevuto in una soluzione profumata e antibatterica di oli vegetali e leganti cotti insieme. È la prima volta che si legge di questo procedimento che, tuttavia, trova corrispondenza archeologica nelle mummie dell’epoca che spesso presentano resina e stoffa incollata sulla faccia. Tornano poi i famosi 70 giorni di Erodoto, questa volta a coprire l’intero periodo di mummificazione che è diviso in due fasi: 35 giorni per l’essicazione e 35 per il bendaggio. Mantenendo l’ulteriore partizione dei 4 giorni, al 68° la mummia era pronta ed era collocata nel sarcofago, dando il tempo per gli ultimi rituali prima della chiusura della tomba.
Questa è la prima volta che viene letta la metà “danese” del papiro (P. Carlsberg 917), mentre la parte della del Louvre (P. Louvre E 32847) è stata pubblicata una traduzione preliminare nel 2018 (Bardinet T., “Médecins et magicient à la cour du pharaon”); ma l’edizione finale completa è prevista per il 2022.
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