Di Flavia Bonaccorsi Micoevich
Già da qualche giorno siamo bombardati da immagini romantiche legate alla festa degli innamorati: allora quale occasione migliore per parlare del cuore, simbolo indiscusso di questa data? Plachiamo immediatamente gli animi: no, il popolo della Valle del Nilo non aveva una festività analoga, nonostante disponiamo di notevole letteratura a tema amoroso proveniente per lo più dall’epoca del Nuovo Regno. Ma il cuore era un organo estremamente importante, tanto per la vita terrena quanto per quella dopo la morte, e proprio in quest’ottica ci apprestiamo a parlarne.
Come prima cosa bisogna ricordare che il cuore, in antico-egiziano “ib”, era il luogo in cui gli Egizi credevano fosse racchiuso il carattere della persona. Vi risiedevano le emozioni dalle quale scaturivano i sentimenti, l’intelletto che generava le azioni e, soprattutto, conteneva la memoria. Di conseguenza, il cuore serbava anche la morale dell’individuo, che doveva rimanere quanto più “giusta” possibile in previsione del momento della sua pesatura al cospetto degli dèi.
Tra gli organi interni, il cuore era dunque quello che vantava il privilegio di rimanere (quasi sempre) dentro il corpo del defunto durante il processo di mummificazione. In aggiunta, tra le bende venivano anche posti amuleti con la sua forma e, nella fase finale del processo, molti incantesimi venivano pronunciati per proteggerlo e renderlo forte per il momento del giudizio.
Forse non tutti, però, sono a conoscenza del fatto che le fattezze scelte per tali amuleti, che derivavano dal corrispettivo segno geroglifico, appartengono in realtà a un cuore bovino. Gli Egiziani sapevano comunque benissimo come fosse fatto il muscolo cardiaco ed ebbero delle brillanti intuizioni sul suo funzionamento. Nel papiro Smith, ad esempio, il cuore viene descritto come una massa di carne che dà origine alla vita e come centro del sistema vascolare; pulsando, “parla” ai vasi e alle membra del corpo. Tali vasi (“metu“) passano per tutto l’organismo e confluiscono nell’intestino trasportando i fluidi corporei, l’aria, il sangue e l’acqua; tuttavia, sono anche il “mezzo di trasmissione” degli spiriti maligni esterni che sarebbero potuti entrare nel corpo compromettendone le funzionalità.
Per un individuo era perciò fondamentale comunicare col proprio cuore per poter esprimere i suoi sentimenti o comprendere un eventuale stato di malessere. Possiamo trovare un ottimo riassunto di quanto detto finora nei primi versi della seconda stanza della raccolta “Inizio dei componimenti della grande gioia del cuore” nel papiro Chester Beatty I:
“Con la sua voce,
il mio amato turba il mio cuore,
e fa che di me s’impadronisca la malattia.”
Ritorniamo così in pieno tema romantico per la nostra giornata, soprattutto immaginando idilliaci scenari che facevano da sfondo alla recitazione cantata, con accompagnamento musicale, delle liriche d’amore. Mantenere il proprio cuore “puro”, lontano dalle nefandezze, dai cattivi propositi e dagli spiriti malvagi, era un precetto fondamentale per poter vivere nella giustizia di Maat. Dialogare con esso, ed esternare quanto da lui suggerito attraverso la poesia, era un delicato modo per donare quanto di più profondo e prezioso posseduto, magari alla persona amata.
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Breve bibliografia
- Bresciani E., Letteratura e poesia dell’antico Egitto. Cultura e società attraverso i testi, Torino 2020.
- Contin F., La medicina nell’Antico Egitto, in Antrocom 1/2 (2005).
- Nunn J. F., Ancient Egyptian Medicine, Norman 2002.
- Redford D. B., The Oxford Encyclopedia of Ancient Egypt, Oxford 2001.