Da oggi il Museo Egizio di Torino celebrerà il suo 200° anniversario con tre giorni di ingressi gratuiti, laboratori, spettacoli, conferenze e l’inaugurazione di nuovi allestimenti alla presenza del presidente Sergio Mattarella. Era infatti il 1824 quando il museo apriva le sue porte al pubblico, più antica collezione al mondo interamente dedicata alla civiltà nilotica. Prima di Parigi, Leida, Londra, Berlino.
Da allora il Museo Egizio ha fatto tanta strada (quella che, secondo Champollion, passava per Torino prima di arrivare a Menfi e Tebe) diventando uno tra i luoghi culturali più importanti d’Italia e non solo, un attivissimo centro di ricerca, un volano di progetti internazionali e di iniziative benefiche e inclusive.
Il Museo Egizio prima del Museo Egizio
In realtà, il legame tra Torino e l’Egitto è perfino precedente al museo stesso. Almeno dal 1577, quando il barone Filiberto Pingone scrisse una storia mitologica della città parlando di leggendarie – e ovviamente inventate – origini egiziane. Più tardi, Carlo Emanuele I di Savoia, per dar lustro al giovane ducato, acquistò antichità greche e romane, tra cui spiccava la “Mensa Isiaca” che possiamo considerare il primo pezzo del futuro Museo Egizio.
La Mensa – una tavola del I sec. d.C. di bronzo ageminato in argento, rame e niello con scene che imitano l’iconografia egiziana – faceva parte di una collezione dei Gonzaga di Mantova, arrivata a Torino tra 1626 e 1630. Altri reperti egizi o egittizzanti, provenienti soprattutto dal vicino sito di Industria, si unirono alla raccolta, nel frattempo confluita nel 1724 nel Museo dell’Università. Erano comunque tutti oggetti ritrovati in contesti “casalinghi”, o perché di produzione locale o importati dai Romani. Mancavano quindi antichità reperite direttamente nella Valle del Nilo.
Re Carlo Emanuele III decise così di inviare in Egitto e Oriente Vitaliano Donati, professore di botanica presso l’Università di Torino. Lo scopo principale della spedizione del 1759 era di esplorare quei luoghi lontani e intessere accordi commerciali ma, anticipando l’egittomania post-napoleonica, anche di raccogliere reperti antichi insieme a oggetti rari e piante esotiche. In quel lungo viaggio, durato 3 anni fino alla morte stessa di Donati, furono recuperate la meravigliosa statua di Iside da Coptos, una Sekhmet seduta in trono e una scultura di faraone thutmoside usurpata da Ramesse II.
La Mensa Isiaca, in precedenza negli Archivi Regi, raggiunse le antichità di Donati e altri pezzi che arrivarono fino ai primi del XIX secolo, quando la moda per l’antico Egitto si diffuse in tutto il continente grazie ai savants di Bonaparte e le pubblicazioni che ne derivarono: “Voyage dans la Basse et la Haute Égypte” di Denon e la “Description de l’Égypte”.
La Collezione di Bernardino Drovetti
Non a quella d’Egitto ma ad altre campagne napoleoniche aveva partecipato Bernardino Drovetti, ufficiale di origini piemontesi che divenne Console Generale di Francia ad Alessandria. Grazie al suo potere politico e all’amicizia personale con il viceré Mohammed Ali, raccolse una quantità straordinaria di reperti nella celeberrima corsa al sito migliore contro Henry Salt, suo omologo britannico, e altri consoli europei.
Le corti del Vecchio Continente erano ormai affamate di statue colossali, sarcofagi variopinti, mummie e stele ricoperte di – ancora per poco – incomprensibili geroglifici. Drovetti aveva quindi tra le mani un vero capitale acquistato sul mercato antiquario o reperito tramite scavi in tutto l’Egitto tra 1803 e 1816. Questa prima collezione fu ovviamente proposta al re di Francia, seppur, da buon mercante, Bernardino non trascurò il governo piemontese e altri acquirenti.
Il conte de Forbin, Direttore dei Musei Reali francesi, fu conquistato dalla collezione “maggiore” di Drovetti, ma le trattative si complicarono per via dell’alto prezzo e altri problemi oltralpe. Quando ancora non era stato definito un accordo, una prima partita delle antichità di Drovetti arrivò nel porto di Livorno, che nella prima metà del XIX secolo era lo scalo privilegiato per le navi che dall’Egitto trasportavano reperti e mummie verso l’Europa (per approfondire il tema, vi consiglio il mio database DaNAE: https://egittologia-danae.cfs.unipi.it/).
Lo storico livornese Giuseppe Vivoli descrisse così la collezione che nel 1818 visitò nei magazzini del commerciante Morpurgo: “raccolta sontuosissima e tale che la riunione di tutti i Monumenti Egiziani sparsi in Italia non formerebbe una simile a quella di sopra rammentata”. Fu necessario usare altre navi per trasportare le 100 casse totali e gigantesche statue, come la più grande in assoluto a Torino, quella di Seti II che reca ancora l’iscrizione del capitano norvegese che la portò a Livorno nel 1819.
La nascita del Museo Egizio
Le titubanze di Luigi XVIII di Francia portarono la collezione verso lidi sabaudi, anche grazie alla spinta di Carlo Vidua, conte di Conzano, che aveva incontrato Drovetti al Cairo nel 1820. Lo stesso Vidua raccolse antichità durante il suo viaggio in Egitto e alcune di queste sono tutt’oggi conservate nel Museo Egizio. Tuttavia, anche in questo caso la trattativa non fu veloce e bisognò aspettare la fine del 1823 perché il nuovo re Carlo Felice firmasse il contratto di acquisto per la cifra monstre di 400.000 lire piemontesi, equivalenti più o meno a 1,6 milioni di euro attuali.
Nel frattempo, le antichità, a Livorno ormai da anni, erano state già ispezionate da Giulio Cordero di San Quintino, futuro primo conservatore del museo e autore del catalogo che comprendeva 5304 pezzi (di cui 3000 monete e medaglie spostate nel 1939 nei Musei Civici di Torino). Cordero di San Quintino si occupò in prima persona anche del “trasporto eccezionale”, da Genova a Torino attraverso gli Appennini, tramite carri speciali e decine e decine di cavalli (solo per il colosso di Seti II ce ne vollero 16).
La collezione fu collocata nel palazzo seicentesco del Collegio dei Nobili, già sede dell’Accademia delle Scienze che gestì i lavori di classificazione, studio ed esposizione, terminati nel novembre del 1824 con l’apertura ufficiale. Ma già a giugno c’era stata l’illustre visita “a porte chiuse” di Jean-François Champollion. L’egittologo francese aveva bisogno di affinare il suo metodo di decifrazione del geroglifico ideato solo 2 anni prima e d’altronde l’Italia, con il neonato museo torinese e i reperti – obelischi soprattutto – portati a Roma nell’antichità, era il secondo paese migliore per trovare oggetti da studiare.
Ernesto Schiaparelli e la Missione Archeologica Italiana
Nel 1832 fu adottato il nome di Regio Museo d’Antichità ed Egizio con l’aggiunta del nucleo dell’Università e del fondo Donati. Tuttavia, seppur il patrimonio del Museo Egizio fosse già di straordinaria importanza, mancavano ancora reperti che provenissero da contesti sicuri di scavo scientifico. Ci pensò Ernesto Schiaparelli, diventato direttore del Museo nel 1894 dopo aver già curato la sezione egizia del Museo Archeologico di Firenze. Iniziò con una campagna di acquisti in Egitto nel 1901 e soprattutto fondò la Missione Archeologica Italiana, attiva dal 1903 al 1920. La M.A.I. scavò a Giza, Tebe Ovest, Eliopoli, Ashmunein, Qau el-Kebir, Hammamiya, Assiut, Gebelein, Ossirinco e Assuan e fu protagonista di ritrovamenti storici per l’Egittologia.
Basta citare la scoperta della tomba di Nefertari nella Valle dei Re e quella intatta di Kha e Merit a Deir el-Medina. Schiaparelli, coadiuvato da, tra gli altri, Francesco Ballerini, Evaristo Breccia, Virginio Rosa e Giulio Farina (che lo successe nella direzione della missione e del Museo Egizio) fu così in grado di ottenere 25.000 pezzi che arrivarono a Torino nel 1923.
L’ultimo secolo
Nei primi 100 anni si è sicuramente formato il grosso del patrimonio del Museo Egizio, ma le acquisizioni sono continuate anche nei decenni successivi. Vanno infatti ricordate, ad esempio, le campagne degli anni ’30 a Gebelein di Giulio Farina, direttore dal 1928 al 1942, e il dono del tempio di Ellesiya che l’Egitto fece all’Italia per il suo contributo al salvataggio dei monumenti nubiani minacciati dall’innalzamento dell’acqua del Nilo per la Diga di Assuan. In quella campagna lanciata dall’UNESCO si distinse Silvio Curto, direttore dal 1964 al 1984.
Diversi sono stati i riallestimenti fino a oggi, soprattutto dopo la costituzione nel 2004 della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, funzionale strumento di gestione museale che ha unito il pubblico – l’allora MiBACT, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino – al privato – Compagnia San Paolo e Fondazione CRT. Tra gli interventi più noti c’è sicuramente la scenografia dello statuario, in occasione delle Olimpiadi invernali a Torino del 2006, a opera del premio Oscar Dante Ferretti. Molte altre novità e la moltiplicazione degli spazi espositivi si sono susseguite dal 2015 con l’attuale direttore Christian Greco, che fra l’altro ha riportato il Museo Egizio a scavare in Egitto.
Delle ultimissime – le modifiche a Galleria dei Re, tempio di Ellesiya, corredo di Nefertari, Sala di Deir el-Medina e quella di Kha e Merit e i nuovi spazi permanenti, come la Galleria della Scrittura e “Materia. Forme del Tempo” – vi parlerò presto dopo le visite che farò in questi giorni.
Bibliografia per approfondire:
- AA.VV., Museo Egizio, Catalogo, Modena 2015
- Moiso B., La storia del Museo Egizio, Modena 2016
- AA.VV., La Memoria è il nostro futuro. 200 anni di Museo Egizio, Modena 2024