Da due settimane è nelle sale italiane “Assassinio sul Nilo”, film tratto dall’omonimo romanzo (intitolato anche “Poirot sul Nilo”) di Agatha Christie e reboot di una pellicola del 1978 di cui ho già parlato sul blog. Da amante dei gialli e avendo letto il libro, aspettavo con impazienza quest’uscita, prevista per il 2020 ma rimandata a causa del Covid-19 e per strane vicende che hanno investito Armie Hammer, uno degli attori principali, accusato di molestie e addirittura di cannibalismo.
Il mio personale hype è salito anche per le buone recensioni che hanno caratterizzato il primo film della serie (“Assassinio sull’Orient Express”), sempre diretto e interpretato da Kenneth Branagh, e ovviamente per l’ambientazione egiziana. La trama infatti, senza fare troppi spoiler, gira attorno a una crociera sul Nilo del 1937, in cui sul lussuosissimo piroscafo Karnak la ricca ereditiera Linnet Ridgeway (Gal Gadot) trascorre la luna di miele con il marito Simon Doyle (Hammer). Tuttavia, durante il viaggio che, dal Cairo ad Abu Simbel, tocca alcuni tra i luoghi più iconici d’Egitto, si verificano dei delitti che il celebre investigatore belga Hercule Poirot (Branagh) dovrà risolvere indagando tra tutti i presenti, ognuno dei quali mostra possibili motivi per uccidere. Inutile mentirvi: chi ha letto il romanzo sa già come andranno più o meno le cose, seppur ci siano parecchie modifiche alla trama originaria. Il flash back introduttivo e il finale sono completamente inventati; alcuni fatti sono stati tagliati, stirati, compressi o completamente reinterpretati; il cast ha subito uno sconvolgimento figlio della recente – imposta e forse ipocrita – attenzione hollywoodiana alle minoranze. Se infatti i personaggi di Agatha Christie sono tutti bianchi e ricchi – o almeno presunti tali -, testimoniando la società colonialista europea dell’epoca, nel film alcuni importanti ruoli sono affidati ad attori di colore e viene presentata una relazione omosessuale tra due donne che nel romanzo non esiste. In tutta questa reinterpretazione è stato eliminato anche Guido Richetti, l’unico archeologo e per giunta italiano. Un’altra ‘novità’ introdotta dal regista è l’estesa esplorazione dell’animo e dei turbamenti di Poirot, a discapito dell’approfondimento degli altri personaggi e dell’ambiente circostante.
Per assurdo, infatti, proprio per questo motivo c’è pochissimo Egitto in “Assassinio sul Nilo”.
Da appassionata della storia del Vicino Oriente e avendo sposato in seconde nozze l’archeologo Max Mallowan (apprendista di Leonard Woolley nel sito di Ur), Agatha Christie frequentò diversi cantieri di scavo in Iraq e Siria e visitò più volte l’Egitto. Ne derivano una grande attenzione nella narrazione delle ambientazioni archeologiche orientali che si ripetono spesso nelle sue opere (“Non c’è più scampo”, un’altro romanzo su Poirot intitolato nell’originale “Murder in Mesopotamia”; sempre su Poirot, la storia breve “La maledizione della tomba egizia”; il giallo ambientato nella Tebe del 2000 a.C. “C’era una volta”; l’opera teatrale “Akhnaton”) e una minuzia di particolari nella descrizione di luoghi che la scrittrice visse in prima persona.
Questa atmosfera si respira nel film di Guillermin del 1978, dove gli attori si muovono effettivamente tra piramidi e templi; nella versione di Branagh, invece, non ci sono scene girate in Egitto e ci si deve accontentare di una brutta computer grafica o al massimo di ricostruzioni in teatri di posa. Inizialmente la produzione aveva pensato di andare in Egitto, per poi virare, visto le difficoltà riscontrate, verso gli Atlas Studios in Marocco (dove sono state girate alcune pellicole di cui mi sono occupato, come “La Mummia“, “Asterix & Obelix – Missione Cleopatra“, “Exodus – Dei e re“); ma alla fine si è deciso di restare in Inghilterra.
Se nel 1978 Peter Ustinov & Co. sono stati filmati sulla vera nave PS Sudan, a cui la Christie si ispirò per la Karnak, e nello storico Old Cataract Hotel (Sofitel Legend) di Assuan, nella versione del 2022 abbiamo monumenti e paesaggi in palese CGI o attrazioni da parco dei divertimenti. Il sito di Giza sembra lo sfondo di un videogame con evidenti licenze sulla posizione della sfinge – troppo vicina alle piramidi – e simmetrie forzate (basti guardare la piramide di Micerino che è un duplicato speculare di quella di Cheope; immagine in alto). Gli edifici dell’isola di File appaiono troppo piccoli. Ma i principali errori si trovano nella resa del Tempio Maggiore di Ramesse II ad Abu Simbel che, come dicevo, in alcune inquadrature sembra più “Ramses il risveglio” di Gardaland. La struttura interna è completamente inventata, con giganteschi mascheroni del faraone e piani superiori che fanno gioco alla sceneggiatura. Segnalo soprattutto una specie di terrazzo panoramico tra i due colossi di destra, che non esiste nella realtà, dove i due sposini salgono grazie a una scalinata nascosta per trovare un po’ di intimità… se non fosse per… (immagine in basso).
Da non considerare invece le castronerie che i vari personaggi dicono visitando i siti archeologici: la mastaba di Nefertari, le 8 spose di Ramesse II o le regine che sarebbero state sepolte vive insieme ai faraoni non sono errori storici da imputare agli sceneggiatori ma le classiche chiacchiere che i turisti si scambiano quando conoscono poco la materia egittologica. Ho sentito di peggio.
Infine, anche se capisco il facile riferimento, trovo leggermente ridicola la scena conclusiva con i cadaveri delle vittime portati giù dal battello bendati come mummie, perfino con le braccia incrociate.