(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)
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Di questa persona, forse l’ultima figura romantica nel mondo dell’egittologia, mi avete chiesto in tanti di parlare, praticamente da quando ho cominciato a scrivere sul blog. Una donna in cui coesistevano in egual misura indiscusse capacità professionali e bizzarre stravaganze new age che incuriosivano colleghi, turisti e giornalisti che la incontravano. Un personaggio che ovviamente non poteva sfuggire ai radar della trasmissione “Freedom” di Giacobbo che le sta dedicando ben due puntate (la scorsa, 11/06/2019, e quella di stasera, 18/06). Così, visto il rinnovato interesse, colgo l’occasione per far luce su alcuni degli aspetti più misteriosi della vita di Dorothy Eady, Bulbul Abdel Meguid, Bentreshyt o, come è più comunemente nota, Omm Sety (anche se potete trovare altre grafie come Omm Seti o Umm Sety), la reincarnazione di una sacerdotessa egizia.
Dorothy Louise Eady nacque il 16 gennaio 1904 in un sobborgo a sud-est di Londra e probabilmente avrebbe avuto un’anonima vita medio-borghese se all’età di 3 anni non fosse caduta dalle scale. Il medico chiamato a salvarla non potè far altro che appurarne la morte, ma, tornato dopo mezz’ora per preparare la salma, trovò la bambina beatamente seduta sul letto mentre mangiava cioccolata. Da questo momento in poi, la piccola Dorothy cominciò a fare sogni strani in cui vedeva palazzi con grandi colonne e un giardino con una vasca al centro. La situazione divenne preoccupante quando l’anno dopo, durante una visita al British Museum, la bambina entrò nella galleria egizia e cominciò ad abbracciare e baciare i piedi delle statue dicendo di voler “rimanere tra la sua gente”. L’ossessione verso l’antico Egitto crebbe esponenzialmente, tanto da spingere spesso Dorothy a saltare la scuola per recarsi nel museo londinese dove conobbe addirittura il celebre egittologo Ernest Alfred Thompson Wallis Budge, curatore del Dip. di Antichità Egizie e Assire, che le insegnò i rudimenti della scrittura geroglifica. Le “visioni” aumentarono sempre di più, fino ai 15 anni, quando le venne in sogno l’uomo più importante della sua vita, il faraone Seti I, che riconobbe per aver visto alcune foto della sua mummia (immagine a sinistra).
Dopo aver visitato tutte le collezioni egizie del Regno Unito e cominciato a raccogliere personalmente le antichità meno costose disponibili sul mercato antiquario, a 27 anni si trasferì a Londra per lavorare in una rivista egiziana e qui incontrò Iman Abdel Meguid, uno studente che diventerà suo marito. Così, per sposare Iman, riuscì finalmente a coronare il sogno di tornare a “casa”, nel 1933, arrivando al Cairo e assumendo il nome arabo di Bulbul Abdel Meguid. Ma il matrimonio, nonostante un figlio chiamato non a caso Sety, durò poco a causa delle stranezze della donna mal viste dai suoceri e da una proposta di lavoro che portò il marito in Iraq. Infatti, strani fenomeni di trance, scrittura automatica ed esperienze di uscita dal corpo erano ormai all’ordine del giorno, soprattutto dopo che Hor-Ra, un antico spirito egizio, le avrebbe occupato i sonni per 12 mesi consecutivi, raccontandole la sua vita passata.
Omm Sety sarebbe stata la reincarnazione di Bentreshyt (“Arpa della Gioia”), una giovane nata da un soldato e da una venditrice di frutta. Il padre l’abbandonò sui gradini del Tempio di Seti I ad Abido (immagine in alto), dove il sacerdote Antef la raccolse e la crebbe a sua volta come sacerdotessa di Iside. Un giorno, mentre cantava nel giardino del santuario, colpì con la sua incantevole voce il faraone che se ne innamorò. Così i due divennero amanti e Bentreshit rimase incinta nonostante il voto di castità. Il finale della storia, come spesso succede nei ricordi di vite passate, è tragico perché Antef si accorse del pancione e la spinse al suicidio dopo non essere riuscito ad estorcerle il nome del suo illustre compagno.
Una volta libera dagli impedimenti coniugali, Bulbul (letteralmente “Usignolo”) si trasferì a Nazlat es-Simman, villaggio a due passi dalla piana di Giza, e riuscì perfino a ottenenere un impiego, prima donna in assoluto, come disegnatrice e ispettrice per il Dipartimento delle Antichità egiziane. Essendo dipendente del dipartimento, era libera di entrare nel sito archeologico anche dopo la chiusura, effettuare i suoi riti giornalieri nei templi dell’area (ormai era diventata politeista convinta), fare offerte alla Grande Sfinge e passare notti all’interno della Piramide di Cheope. Quando perse l’affidamento del figlio, potè anche partecipare attivamente a diverse missioni archeologiche, collaborando con alcuni tra i più importanti egittologi locali: Selim Hassan, lo scopritore della tomba intatta della regina Khentkaus (Omm Sety compare nei ringraziamenti nei suoi volumi “Excavations at Gîza”), Ahmed Fakhry, direttore degli scavi nella necropoli di Dahshur e della piramide di Djedkara a Saqqara, e Labib Habachi (a sinistra nella foto in alto). In generale, si occupava di disegno tecnico dei reperti e di editing delle pubblicazioni scientifiche in inglese, di cui probabilmente era spesso la ghost writer.
La sua prima visita nell’amata Abido risale al 1952, quando passò tutta la prima notte a bruciare incenso nel tempio di Seti I. Tuttavia, è solo il 3 marzo 1956 che si trasferì definitivamente per disegnare i rilievi, catalogare i blocchi in magazzino e copiare le iscrizioni tra le rovine. Qui lavorò ufficialmente fino al 1964, per poi, dopo un breve periodo nella sede centrale del Dipartimento al Cairo, tornare come consulente e guida (a destra, il suo report mensile delle attività svolte nell’agosto 1968). Ormai anziana, Omm Sety si ritirò a vita privata solo nel 1972 a causa di un attacco cardiaco, ma continuò comunque ad accompagnare i visitatori del sito fino alla morte, il 21 aprile 1981.
Ad Abido, Omm Sety divenne molto popolare intrattenendo con i suoi curiosi aneddoti turisti e colleghi e mescolandosi, grazie a un tenore di vita molto spartano, con gli abitanti del luogo che la temevano e rispettavano. Lo stesso nome che la contraddistingue maggiormente le venne dato proprio ad Abito per sottolineare – come spesso si fa nel mondo islamico – la sua maternità (= “Madre di Sety”). Inoltre, la vicinanza con gli abitanti del villaggio le permise di condurre valide ricerche etnografiche per l’American Research Center in Egypt che mettevano in relazione gli antichi culti egizi con le tradizioni musulmane e copte contemporanee.
La fama mondiale crebbe grazie a diversi articoli di giornali e a due documentari girati nel 1980, poco prima della morte: “Omm Sety and Her Egypt” per la BBC ed “Egypt: Quest for Eternity” per National Geographic (in basso). Ma la sua aurea mistica si deve soprattutto alle pubblicazioni dell’amico Hanny El Zeini che, in particolare nel libro “Omm Sety’s Egypt”, riporta diversi racconti incredibili e tutte le scoperte archeologiche che sarebbero state effettuate grazie ai suoi ‘ricordi’ della vita passata. El Zeini afferma di aver chiesto al capo ispettore di Abido se fossero vere tutte le storie che circolavano attorno a Omm Sety ricevendo come risposta che la donna era stata la protagonista materiale del ritrovamento dei giardini del tempio, nell’area del “Palazzo”, e che aveva dato un valido aiuto anche nell’individuazione della galleria del settore settentrionale del santuario (l’ingresso all’Osireion).
Ma è possibile che Omm Sety abbia veramente indicato dove scavare perché aveva vissuto in prima persona quei luoghi? O che fosse a conoscenza dell’ubicazione di importanti siti non ancora scoperti grazie ai suggerimenti di antichi personaggi apparsi in sogno? In effetti, Omm Sety diceva di avere spesso visite da Seti (tornato dall’Amduat grazie – ironia della sorte – proprio a “un permesso speciale”) che in un primo momento, nonostante i trascorsi amorosi, si sarebbe rivelato rispettoso del suo status di donna sposata ma che poi, dopo il divorzio, le avrebbe proposto un matrimonio nell’aldilà. Così come erano frequenti i colloqui con il grande Ramesse II, ricordato invece come un ragazzino irrequieto e rumoroso.
In realtà, la quasi totalità delle previsioni di Omm Sety non è mai stata verificata. In “Abydos: Holy City of Ancient Egypt” (pp. 176-178), scrisse che nel 1958 sarebbe caduta dal soffitto della Camera delle barche solari del tempio di Seti e che si sarebbe ritrovata in un ambiente colmo di casse, tavole d’offerta, teli di lino, statue d’oro con cartigli della XXVI dinastia; tuttavia, non riuscì più a ritrovare l’accesso a questa fantomatica stanza del tesoro. Era convinta anche che sotto l’edificio ci fosse una biblioteca con papiri dall’inestimabile valore storico e religioso: anche in questo caso, zero riscontri. Disse la sua perfino sulla tomba di Nefertiti che collocava nella Valle dei Re, vicino la tomba di Tutankhamon, grazie a una dritta di Seti I, nonostante questi non volesse che si trovasse perché odiava Akhenaton in quanto iconoclasta e deportatore di masse. Lo stesso Nicholas Reeves la cita nell’articolo in cui presenta l’ormai celebre teoria sulle camere nascoste nella KV62 (ma sappiamo benissimo come sia finita la questione). Altre rivelazioni, invece, sconfinano nella pura fantarcheologia, come la netta retrodatazione dell’Osireion di Abido – non più quindi cenotafio di Seti I – e della Grande Sfinge di Giza, che sarebbe stata l’effigie del dio Horus e non di Chefren.
Se poi andiamo nel particolare, la presunta scoperta del tunnel nord imputata ai ricordi di Omm Sety (e segnalata da Freedom come indizio della veridicità delle parole della donna) non è altro che la risultante dell’intuizione del celebre archeologo britannico Flinders Petrie che nel 1902 notò una depressione scavando con Caufeild il muro di recinzione del tempio di Seti I. Nel 1903, Margaret Murray, individuò l’anticamera dell’Osireion e la fine del corridoio d’accesso di cui comunque tracciò l’ipotetico andamento nella sua pubblicazione del 1904, ricongiungendosi a ciò che era stato indagato l’anno prima (immagini in basso). L’Osireion vero e proprio, invece, fu scavato da Edouard Naville tra 1912 e 1914 e poi da Henri Frankfort nel 1925.
Un’altra grave svista della trasmissione è stata datare al 3000 a.C. i geroglifici presenti nel corridoio e considerarli tra i primi della storia egizia. Le prime attestazioni di scrittura geroglifica sono state trovate effettivamente ad Abido, ma più ad ovest, nella necropoli di Umm el-Qaab e in particolare nella tomba U-j del re Scorpione I (3200 a.C. circa). I testi che si trovano nell’Osireion, invece, corrispondono al Libro delle Porte, gruppo di formule funerarie che comparvero solo alla fine della XVIII dinastia (1300 a.C. circa), e al Libro delle Caverne, testo di età ramesside che qui ha il suo primo esempio; nello specifico – e sarebbe bastato leggere i cartigli inquadrati – ciò che è scritto alle pareti del corridoio è da collocare sotto il faraone Merenptah (1213-1203 a.C.).
A detta di chi l’ha conosciuta, Omm Sety non fingeva ed era fermamente convinta di quello che diceva. Molti psicologi e altri esperti hanno provato a spiegare le sue visioni con la “sindrome della falsa memoria”, estraneazione dalla realtà, danni cerebrali subiti per la caduta a 3 anni, ma credo che a posteriori, senza una vera visita medica, sia inutile parlarne. Più importante è invece sottolineare professionalità e preparazione della donna che erano confermate da altri eminenti egittologi, ma che rischiano di passare in secondo piano a causa del folklore della sua vita. Nonostante non abbia seguito una normale carriera accademica, infatti, Omm Sety comiciò a studiare storia e lingua egizia fin da piccola e poi si formò sul campo grazie a decenni di missioni archeologiche, proprio come aveva fatto Howard Carter.
È vero che – come dice l’egittologo Kenneth Kitchen – Omm Sety potrebbe essere arrivata ad alcune conclusioni esatte perché passava tutto il suo tempo nell’area archeologica di Abido, osservando, disegnando, copiando e studiando, cosa che il 99% degli altri ricercatori non potrebbe mai fare. Ma in generale, non c’è comunque alcun documento, articolo o appunto scritto che provi che lei sapesse in anticipo dove scavare. Abbiamo solo i suoi racconti a posteriori, oltre a dicerie, voci di persone a lei vicine e anonime citazioni che non hanno alcun valore scientifico. Non ci sono nemmeno conferme da parte dei suoi familiari di tutto ciò che Omm Sety raccontò sulla sua infanzia.
Resta quindi uno dei tanti esempi di persone che, forse per fuggire dalle insoddisfazioni della vita reale, immaginano di avere avuto un trascorso illustre. Quasi mai, infatti, si sente parlare di reincarnazioni di gente comune e Omm Sety non fa eccezione perché, nonostante nella scorsa puntata di Freedom si sia provato a sottolineare le umili origini di Bentreshyt, questa sarebbe stata comunque l’amante dell’uomo più potente del suo tempo. Inoltre, va aggiunto che l’antico Egitto, per il suo fascino esotico, è sempre stato terreno fertile per correnti filosofiche esoteriche e per società segrete iniziatiche che della reincarnazione hanno fatto l’elemento fondante. Curiosamente ci fu anche una concittadina e quasi coetanea di Omm Sety, la scrittrice Joan Grant, che assicurava di ricordare almeno 40 vite passate tra cui quella di Sekhet-a-Ra, sacedotessa e regina vissuta durante la I dinastia e sepolta, anch’essa, ad Abido. Questa storia, a parer suo non inventata, le servì da spunto per realizzare il suo romanzo più famoso, “Il Faraone alato” (1937).