Vi sarete accorti, leggendo articoli che riguardano scoperte effettuate in Egitto, che le datazioni sono quasi sempre indicate con le “dinastie” che corrispondono a gruppi di faraoni accomunati da parentela o residenza reale. La classica suddivisione in 30 dinastie che noi adottiamo si basa sugli scritti di Manetone, sacerdote originario di Sebennito (città situata al centro del Delta del Nilo) che ricostruì la storia dell’Egitto probabilmente durante il regno di Tolomeo II (282-246 a.C.).
L’opera risultante, gli Aegyptiaca, giunta a noi solo attraverso i testi di storici posteriori, fu commissionata per permettere di conoscere meglio il Paese ai nuovi dominatori macedoni arrivati dopo la conquista di Alessandro Magno (332 a.C.). Per la sua ricerca, Manetone consultò documenti ufficiali conservati negli archivi dei templi che presentavano vere e proprie liste di faraoni.
Tra gli esemplari di queste liste che si sono conservati fino ai giorni nostri, uno dei più importanti si trova proprio in Italia, più precisamente nel Museo Egizio di Torino: il “Papiro dei Re di Torino”. Il Papiro dei Re – detto anche “Canone Regio” o “Lista reale” – è un documento compilato in ieratico – la forma corsiva della scrittura egiziana – sotto Ramesse II (1279-1213 a.C.) o i suoi immediati successori (Merenptah o Seti II).
Il testo è diviso in 11 colonne con i nomi e gli anni di regno di 126 faraoni, anche se in origine ne dovevano essere annoverati 222. Il papiro, infatti, è ridotto in oltre 300 frammenti e ampie parti sono andate perse, ma il numero totale può essere ricostruito calcolando le righe. Esisteva anche almeno una dodicesima colonna che, tuttavia, è stata tagliata già in antichità, probabilmente per riutilizzare il foglio nella sua parte non scritta. In tutto, quindi, erano elencati circa 250 re.
Il pessimo stato di conservazione dell’oggetto non è dovuto alla sua età – oltre 3200 anni – ma dalla sbadataggine di Bernardino Drovetti, il console francese al Cairo e collezionista di origini italiane che lo acquistò intorno al 1820 in un’imprecisata area di Tebe. Ignorandone l’importanza (Champollion decifrerà il geroglifico solo nel 1822), Drovetti lo stipò ancora integro (40 x 170 cm circa) senza tanta cura in una cassa insieme ad altri papiri e il trasporto, prima ad Alessandria e poi in Europa attraverso il porto di Livorno, ne causò la distruzione e il mescolamento.
Nel 1824, la collezione del console – che comprendeva 8000 pezzi tra statue, sarcofagi, mummie e amuleti – fu acquistata per 400.000 lire da re Carlo Felice di Savoia e determinò la nascita del Museo Egizio. Poco dopo, a soli due anni dalla sua grande intuizione, Jean-François Champollion in persona si recò a Torino per approfondire i suoi studi e fu il primo a riconoscere l’essenza del Papiro dei Re individuando alcuni nomi reali tra le centinaia di migliaia di frammenti conservati in una cassa. Anche la denominazione “canone”, seppur impropria, fu introdotta da Champollion e ripresa dall’egittologo britannico Alan Gardiner, autore nel 1959 della principale edizione del contenuto. Non si tratta, infatti, di un documento ufficiale, ma di una copia che uno scriba realizzò per esercitarsi o come riferimento per la stesura di altri testi. I principali tentativi di ricomporre il ‘puzzle’, invece, furono ad opera, nel 1826, del tedesco Gustav Seyffarth (acerrimo antagonista di Champollion) e, oltre un secolo dopo, nel 1938, dell’allora direttore del museo Giulio Farina e della restauratrice Erminia Caudana.
La lista comprende quindi una serie di re che vanno da Meni, primo faraone della I dinastia intorno al 3150-3125 a.C., alla fine del II Periodo Intermedio (1580 a.C. circa) con la XVI dinastia e la cosiddetta “dinastia di Abido”. La colonna mancante doveva annoverare gli ultimi faraoni fino al periodo di compilazione della lista, quindi dalla XVII alla XIX dinastia. Ma ancor prima dei sovrani storici, sono citati re mitologici divisi in tre categorie: dei, semi-dei e spiriti. Per ogni sovrano sono segnati gli anni di regno – in alcuni casi anche i mesi e i giorni – e, solo per quelli più antichi, l’età di morte. Per questa disomogeneità di dati, appare evidente che l’autore della lista abbia consultato più di una fonte.
La cosa interessante è che, nonostante le dinastie siano una convenzione cronologica ‘inventata’ in età tolemaica, la lista di Torino presenta delle suddivisioni che in parte coincidono con quelle di Manetone. I faraoni, infatti, sono raggruppati in 6 sezioni, ripartite in 10 sottoinsiemi (rispetto alle 16 dinastie degli Aegyptiaca), introdotte da un titolo che annovera il fondatore e la residenza reale e chiuse da un sommario che indica il numero totale di re e gli anni complessivi di regno. Non essendo un documento ufficiale, non presenta tracce di omissioni propagandistiche, quindi compaiono anche i nomi di faraoni effimeri, donne e perfino i dominatori stranieri Hyksos che hanno subito damnatio memoriae nelle altre liste reali.
Curiosità
Nonostante il suo ruolo fondamentale nella ricostruzione della storia dell’antico Egitto, il Papiro dei Re è stato scritto semplicemente su ‘carta riciclata’. Nel recto, infatti, si legge il testo originale che comprende un vecchio registro delle tasse nelle oasi libiche sotto Ramesse II.
In Italia è conservata anche un’altra importante lista reale, o meglio il suo frammento principale: la Pietra di Palermo.
Il pezzo, parte di una stele in diorite nera, è chiamato così perché si trova presso il Museo archeologico regionale Antonio Salinas nel capoluogo siciliano, mentre altre porzioni più piccole sono conservate nel Museo Egizio del Cairo e nel Petrie Museum di Londra. In realtà, a differenza del Papiro dei Re, in questo caso si può parlare propriamente di “Annali” perché, oltre ad essere elencati i nomi dei faraoni dal Predinastico alla metà della V dinastia, sono annotati anche i principali eventi accaduti durante i loro regni (conta del bestiame, altezza della piena del Nilo, costruzioni monumentali, campagne militari ecc.).