Questa volta, più che occuparmi di un singolo museo, parlerò di un’intera area geografica e delle sue principali raccolte archeologiche in cui sono presenti anche reperti egizi: l’Etruria Meridionale. Tale scelta è dovuta dall’origine comune degli oggetti in questione, tutti provenienti dalle necropoli dell’Alto Lazio, tra le provincie di Viterbo e Roma. Come già spiegato in precedenza, infatti, non è così strano trovare scarabei, amuleti o altri pezzi faraonici nelle tombe etrusche, anzi. Nel cosiddetto “periodo orientalizzante” (VIII-VI sec. a.C.), le civiltà italiche cominciarono a diventare sempre più strutturate con l’avvento di nuovi classi sociali elitarie che, per ostentare ricchezza e potere, acquistavano veri e propri status symbol portati dall’Oriente dai mercanti greci e fenici.
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Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Nello splendido scenario del quattrocentesco Palazzo Vitelleschi (foto in alto), è esposta una delle più importanti raccolte di antichità etrusche al mondo. Il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia è stato fondato nel 1924 con la fusione di due collezioni ottocentesche, la comunale e quella privata dei conti Bruschi-Falgari, e poi è cresciuto grazie al frutto degli scavi archeologici nelle numerose aree sepolcrali della città, tra cui spicca la Necropoli dei Monterossi che è patrimonio UNESCO. Per quanto ci riguarda, esiste una stanza completamente dedicata ai rapporti dell’antica Tarch(u)na con il bacino del Mediterraneo. Qui si possono ammirare gli oggetti orientali comparsi nella città-Stato già alla fine dell’VIII secolo quando, con la cosiddetta “Età dei Principi”, anche Tarquinia completò il suo sviluppo urbano e intraprese floridi scambi commerciali con Greci e Levantini. In cambio di legno, metalli e derrate alimentari, arrivavano beni di lusso come le uova di struzzo (foto in basso a destra dalla “Tomba del Pettorale d’Oro”, necropoli dei Monterozzi, metà del VII sec.). Tra gli onnipresenti scarabei e piccoli amuleti, l’oggetto egizio più rappresentativo è la “Situla di Bocchoris”, contenitore rituale per l’acqua realizzato in faience e recante il cartiglio del faraone della XXIV dinastia (720-715 a.C.): il re Bakenrenef è condotto prima per mano da Horus e Thot (foto a sinistra) e poi è rappresentato tra Neith e ancora Horus, mentre nel registro inferiore prigionieri nubiani sono legati in un palmeto pieno di scimmie. Il vaso è stato scoperto in una tomba chiamata per l’appunto di Bocchoris anche se apparteneva a una donna morta intorno al 700-690. In ciò che rimaneva del corredo, si trovavano anche due pendenti in forma di Bes incastonati nell’argento e 45 amuleti in faience usati per una collana (foto in basso a sinistra).
http://www.tarquinia-cerveteri.it/museo-e-necropoli-di-tarquinia/museo
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Museo Nazionale Cerite
Anche la ‘location’ del museo di Cerveteri non è male: la rocca trecentesca dei principi Ruspoli. La collezione qui è decisamente più piccola, ma può fregiarsi di capolavori dalla fama internazionale come il cratere e lakylix di Eufronio, finiti illegalmente negli USA e, dopo un contenzioso di decenni, restituiti all’Italia rispettivamente dal Metropolitan Museum di New York e dal J.P. Getty Museum di Malibu. Tuttavia, il simbolo scelto per il museo ceretano è un unguentario in faience in forma di riccio (foto a destra). Scoperto nella Tomba 20 (VI sec.) della Necropoli di Monte Abatone, questo piccolo contenitore spiega alla perfezione come il fenomeno dell’orientalizzante non comprendesse solo il commercio di oggetti realizzati in Egitto, Anatolia, Levante e Mesopotamia ma anche la loro imitazione. Il riccio, infatti, non viene dalla Valle del Nilo, ma è stato importato dall’isola di Rodi.
http://www.tarquinia-cerveteri.it/museo-e-necropoli-di-cerveteri/museo
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Museo Archeologico Nazionale di Vulci
Infine, una breve menzione va fatta anche per il Museo Archeologico Nazionale di Vulci che si trova nel Castello dell’Abbadia, edificio dall’origine benedettina diventato dal XII secolo un palazzo fortificato a riparo dello strategico “Ponte del Diavolo” (III sec. a.C.). Nel 1975, lo Stato ha deciso di utilizzarlo per conservare i reperti provenienti dagli scavi dell’area urbana di Vulci e delle sue necropoli, ma l’attuale percorso espositivo risale solo al 2016. Nella sala dedicata alla “città dei morti”, è stato ricreato il corredo della Tomba G della Necropoli di Marrucatello (fine VIII sec.). L’oro e gli oggetti d’importazione come l’ambra collocano chiaramente la defunta nell’emergente aristocrazia; non mancano piccoli reperti egiziani come uno scarabeo in faience blu incastonato in un anello d’argento e due pendenti che rappresentano Horus in forma di falco e un’egida con la testa di Hathor.
http://www.archeologialazio.beniculturali.it/it/278/museo-archeologico-nazionale-di-vulci