Visitare Palazzo dei Musei a Reggio Emilia è come fare una passeggiata nella storia della museologia. Attraversare le numerose sale e guardare reperti delle più disparate discipline – dall’archeologia alle scienze naturali – permette di capire come sia cambiato negli ultimi due secoli il concetto stesso di museo. L’edificio è infatti una delle sedi dei Musei Civici di Reggio fin dal 1830 e conserva ancora le affascinanti vetrine stracolme di fossili, animali impagliati, crani, strumenti litici, vasi, statuette di bronzo delle collezioni ottocentesche. Ma al tempo stesso, salendo al secondo piano, si apprezza il nuovissimo allestimento, inaugurato nel 2021, che per raccontare la storia del Reggiano punta molto sullo story telling e utilizza trovate interessanti per catturare l’attenzione dei visitatori e lasciare loro impresse nozioni che altrimenti si perderebbero dietro alla sola estetica degli oggetti. Per fare solo un esempio, le antichità vengono accostate a prodotti contemporanei per spiegarne l’utilizzo e l’importanza nella società dell’epoca. Quindi, al di là dello scopo di questo articolo che è volto a descrivere la consueta presenza di reperti egizi, consiglio vivamente di farci un salto; fra l’altro, è gratuito.
Tornando a noi, come scrivo ogni volta per questa rubrica, è quasi impossibile non imbattersi in vestigia nilotiche nei musei italiani, soprattutto se hanno origini ottocentesche. Non è un caso che anche nel nucleo archeologico del primo piano di Palazzo dei Musei ci siano circa 100 pezzi provenienti dall’Egitto. Si trovano più precisamente nel Museo Chierici di Paletnologia, nato nel 1862 come Gabinetto di Antichità Patrie e ampliato nel 1870 come Museo di Storia Patria sotto l’impulso di Gaetano Chierici (1819-1886), sacerdote e studioso reggiano che fu tra i primi esponenti, con Pigorini e Strobel, della neonata disciplina paletnologica. La collezione successivamente a lui intitolata, però, non si limita a preistoria e protostoria, ma raccoglie testimonianze che vanno fino al Medioevo e che superano i confini italiani. Gran parte delle vetrine, che mantengono ancora la disposizione originaria, è dedicata al patrimonio della provincia di Reggio; poi c’è una sezione per le altre regioni d’Italia, una per reperti archeologici ed etnologici extranazionali e infine una che presenta contesti funerari trasportati intatti con i relativi inumati e corredi.
Alla prima e alla seconda sezione appartiene qualche aegyptiaca trovato in Italia e quindi importato dall’Egitto già in antichità, soprattutto per via del loro utilizzo in sepolture di popoli italici e per la diffusione del culto di Iside nel mondo romano. A questi si uniscono produzioni locali ispirate a temi e iconografie egiziane o i risultati di ibridazioni religiose come le statuette di Iside-Fortuna. Come capita spesso per questo tipo di raccolte, è difficile identificare l’origine precisa dei reperti, ma in questo caso, più per tradizione che per effettiva conferma delle fonti aarchivistiche, un gruppo di antichità egizie (immagine in alto) è legato alla tomba di Publeia Terza, donna romana vissuta nel II sec. d.C. La sepoltura, scoperta nel 1845 presso Campegine (RE), era segnalata da un rarissimo cippo funerario (foto in basso a sinistra; al momento della mia visita non era esposto) che da alcuni viene accostato per l’inconsuto stile a un sarcofago con una specie di ritratto del Fayyum. Questa presunta ispirazione e la presenza – non comprovata – almeno nelle vicinanze di sei ushabti e 7 statuette in bronzo di Osiride, Iside, Arpocrate e Ptah fanno ipotizzare che Publeia Terza fosse una sacerdotessa o cultrice di Iside. In realtà, se nel caso di alcuni dei bronzetti e tre scarabei (foto in basso al centro) è possibile collocare l’origine nella vicina località di Monticelli, è probabile che gli ushabti siano stati donati a Chierici da collezionisti privati.
Uscendo dalla regione, si segnalano un ushabti di Terzo Periodo Intermedio (foto in alto a destra), trovato in una sepoltura etrusca nei dintorni di Fiesole (FI), e soprattutto il nucleo più corposo di antichità egizie, quello esposto nella vetrina dedicata ai “luoghi fuori d’Italia”, tra Australia, Americhe, Asia e Africa.
Su due scaffali (immagini in basso) sono disposti reperti che, come di consueto, sono di piccole dimensioni e risalenti al Periodo tardo. Fanno eccezione una tavola d’offerta da Abido di Medio Regno, in cui il nome del defunto è parzialmente abraso (il “Tesoriere ed economo del direttore dei lavori” Ra…), e un cono funerario dello scriba Userhat (XVIII din.), la cui tomba nella necropoli tebana di Qurnet Murai non è stata ancora individuata.
Per il resto, ci sono circa 80 amuleti raffiguranti simboli magico-religiosi – occhio udjat, cuore ib, pilastro djed, colonnina wadj, corona atef, orizzonte, dita, urei, ecc. – e divinità protettive come Ptah-Pateco, Bes, Sekhmet, Tueris. Inoltre vediamo altri bronzetti – alcuni di dubbia autenticità -, due situle, quattro scarabei, un osso umano e sette ushabti, tra cui spiccano i due più grandi, in legno, appartenuti al funzionario di XX din. Mehy.
I reperti sono pubblicati in: Pernigotti S., Antichità Egiziane del Museo «Gaetano Chierici» di Paletnologia, Reggio Emilia 1991.