Venerdì scorso, l’istrionico miliardario Elon Musk ha pubblicato uno dei suoi – almeno in apparenza – sconclusionati tweet in cui afferma che le piramidi sarebbero state costruite degli alieni. Subito dopo ha aggiunto un altro messaggio che fa riferimento a Ramesse II; forse meno eclatante, ma ci servirà comunque più tardi per parlare di giornalismo e comprensione del testo:
Ramses II was 😎
— Elon Musk (@elonmusk) July 31, 2020
A prima vista, soprattutto conoscendo il personaggio e le sue provocazioni, il tweet sembrerebbe una trollata, probabilmente pensata per creare scalpore (obiettivo più che centrato) e conseguente attenzione mediatica sull’ultima impresa della SpaceX, l’azienda aerospaziale di Musk.
A distanza di ore però, forse spinto dalle migliaia di reazioni di protesta, il geniale imprenditore ha aggiunto due ulteriori tweet in cui ha linkato la pagina wikipedia dedicata alla Piramide di Cheope e un articolo della BBC in cui l’egittologa Joyce Tyldesley racconta come sono state effettivamente costruite le piramidi. Tra le risposte critiche spicca soprattutto la presa di posizione ufficiale dell’Egitto che, tramite il famoso archeologo Zahi Hawass e l’ex ministra del Turismo (oggi della Cooperazione Internazionale) Rania al-Mashat, ha bollato le parole di Musk come una “totale allucinazione” e lo ha invitato a vedere di persona le evidenze archeologiche.
Come detto, non è la prima volta che Musk ‘cinguetta’ le sue controverse opinioni: nei mesi scorsi si era schierato con Trump minimizzando la pericolosità del Covid-19 e ritenendo fascisti i provvedimenti di lock-down; a maggio, invece, aveva fatto infuriare gli azionisti della sua stessa azienda, la Tesla, dichiarando che le azioni valessero troppo; senza contare poi la scelta del nome X Æ A X-II per il figlio.
E ogni volta la stampa ne approfitta per pubblicare articoli dal contenuto piuttosto scarno ma dal facile guadagno di click. Niente di nuovo: tra giornalismo tradizionale su carta stampata e quello online passa un abisso e anche i siti di testate serie sono costretti a rincorrere il pubblico proponendo pezzi di gossip e video di gattini rubati da YouTube. Questo tipo di comunicazione, tra clickbaiting e mancanza di tempo (e voglia) per verificare e approfondire le notizie, crea spesso disinformazione e veicola dannose fake news. Ovviamente, visti gli attuali 550 mila like, 88 mila condivisioni e quasi 27 mila commenti, tutti i quotidiani italiani hanno ripreso il tweet di Musk, ma in un caso particolare, come vedremo, è stato oltrepassato ogni limite di decenza.
Prima, però, vorrei tornare sul secondo tweet e soffermarmi sul corretto uso del virgolettato. Il messaggio, che in realtà non è chiarissimo, è stato tradotto dal Fatto Quotidiano, la Repubblica, il Messaggero, il Mattino, il Giornale e Sky TG24 “Ramesse II era un alieno”. L’ipotesi è legittima, vista la rapida successione con il primo tweet; il problema è che quasi tutti i giornali appena citati l’hanno segnalata come citazione. Pur ammesso che Musk intedesse proprio quello e non volesse scrivere la solita frase randomica, è comunque sbagliato riportare tra virgolette la traduzione di un testo che non esiste. Il messaggio originale infatti recita “Ramses II was ” e sì, è sicuramente interpretabile come “Ramesse II (lo) era, (un alieno)”, ma alcune testate straniere, come il Daily Star e lo Spiegel, considerano semplicente l’effettivo significato dell’emoji con gli occhiali da sole: “Ramses era cool/figo”.
Se questi ed altri giornali si sono giustamente limitati a riportare i fatti (e, un po’ meno correttamente, a copiarsi a vicenda nel chiamare Hawass “Zari”), la Stampa è andata oltre. Tralasciando il refuso nel titolo e che SpaceX non sia l’astronave ma l’azienda che l’ha sviluppata, l’articolo, a firma di Vittorio Sabadin, è un insieme di tesi cospirazionistiche, ipotesi fantarcheologiche e offese alla categoria degli egittologi. Un pezzo che non si può nemmeno definire clickbait perché le parti più estreme sono nel corpo del testo, fra l’altro consultabile dai soli abbonati.
Il giornalista va in difesa di Elon Musk prendendolo sul serio perché “ci sono ottime ragioni di pensare che una civiltà superiore abbia costruito le piramidi”. Le ragioni consistono nella solita sfiducia nelle capacità umane e nella mancanza di contestualizzazione dei dati storici. Secondo Sabadin, l’Egittologia non saprebbe rispondere a diverse domande: Com’è possibile che le piramidi siano state costruite senza mezzi adeguati? Per quale motivo? Perché quelle di Giza sono più grandi delle successive? Perché non sono stati trovati corpi al loro interno? Perché non sono iscritte? Perché i geroglifici, come le altre conoscenze scientifiche, sono apparsi all’improvviso? Se solo si fosse documentato su pubblicazioni del settore oltre che su blog di ufologia e su datati best seller di fantarcheologia (i cui autori sono stati costretti più volte a ritrattare le loro tesi di fronte a dati inconfutabili), Sabadin avrebbe letto di tutti quei lunghi processi evolutivi che hanno portato ai tratti caratteristici della civiltà egizia. Avrebbe saputo che i geroglifici non sono spuntati dal nulla, ma sono nati, come altre forme di scrittura, per questioni di controllo amministrativo: lo testimoniano le etichette con proto-geroglifici della tomba U-j di Umm el-Qa’ab (3320-3150 a.C.). Avrebbe visto i tanti tentativi che, da Djoser fino a Snefru, hanno permesso di arrivare alla forma classica piramidale ancor prima di Cheope. Avrebbe scoperto i motivi economici e ideologici che spiegano le minori dimensioni delle piramidi di V e VI dinastia. Sarebbe venuto a conoscenza delle evidenze archeologiche che illustrano come erano spostati i pesanti blocchi all’epoca. E così via. Poi, delle prove schiaccianti che legano Cheope alla Grande Piramide ho già parlato e non vorrei ripetermi per l’ennesima volta.
In realtà, tesi sugli antichi astronauti ci sono sempre state, anche se non mi sarei mai aspettato di trovarle riportate così acriticamente su un quotidiano di questo livello (e siamo troppo lontani dal 1 Aprile). D’altronde, già nel 1935 l’ufficiale britannico Noel Wheeler coniava la parola “pyramidiot” per definire i ciechi seguaci di certe ipotesi alternative. Proprio perché abituato, non mi sarei arrabbiato così tanto se il giornalista non avesse buttato fango sul nostro lavoro, rappresentando gli egittologi da un lato come una loggia massonica che tiene per sé chissà quale verità, dall’altro come pavidi bugiardi attaccati al posto di lavoro: “In pubblico ogni egittologo che tiene alla sua carriera non ha dubbi sul fatto che le tre piramidi di Giza siano state costruite da Cheope, Chefren e Micerino intorno al 2.500 a.C.. In privato molti cominciano ad ammettere che quella egizia è forse stata una civiltà «imitativa», che ha copiato da altri cose che non sapeva fare.”
Gli egittologi non hanno un editore che detta loro la linea da tenere. Studiano, raccolgono e analizzano dati, formulano ipotesi e le pubblicano, venendo poi valutati per i risultati raggiunti e per il metodo adottato. Sabadin è liberissimo di esprimere la sua opionione, anche se non supportata da prove, di ritenere più logico che “le tre piramidi di Giza siano state costruite da una civiltà superiore in un’epoca molto più antica”; ma, invece di mettere in dubbio la professionalità di seri studiosi sulla base di baggianate, forse farebbe bene a parlare con qualcuno di loro. Ne trova un bel po’ a soli 2,5 km dalla sede del giornale in cui lavora.