Gli antichi Egizi viaggiavano verso il cielo… No, non sono impazzito e non c’è nemmeno bisogno di tirare in ballo tecnologie perdute, i “geroglifici di Abido”, i canali della Grande Piramide o Stargate. A volare verso gli astri era l’anima che, dopo la morte, soprattutto nella religione di Antico Regno e nei Testi delle Piramidi, raggiungeva le “stelle imperiture”, cioè le stelle circumpolari che non tramontano mai durante l’anno. Secondo la topografia celeste, infatti, nell’area più settentrionale della volta, si trovava il “”paradiso”” (scritto volutamente con doppie virgolette) con i Campi dei Giunghi (sxt iArw) e i Campi delle Offerte (sxt Htpw), dove il faraone avrebbe passato la sua vita ultraterrena.
Tra la IX e la XII dinastia, quando ormai le formule funerarie si erano trasferite dalla pietra al legno, nella parte interna dei coperchi dei sarcofagi, si vedono calendari stellari, considerati come primordiali orologi o comunque come sistemi di conteggio del tempo nelle ore notturne che sfrutterebbero la posizione delle stelle nei vari periodi dell’anno. Queste tavole presentano una griglia divisa in quattro quadranti principali con il nome delle stelle e gli “spostamenti” per ogni decano (il periodo di 10 giorni che divide il mese in tre parti).
Un’interpretazione alternativa, però, arriva da Sarah Symons (McMaster University in Ontario) che, dopo anni di studio sui 27 esemplari di calendario stellare conosciuti (tra i più belli, c’è quello del sarcofago di Idi da Asyut, in foto, oggi conservato presso il Museum der Universität Tübingen) e con l’aiuto di un software in grado di ricreare il cielo notturno di 4000 anni fa, pensa che le tabelle, in realtà, siano mappe stellari per aiutare il defunto a completare la sua ascesa, con il percorso segnalato grazie alla diversa posizione delle costellazioni.
L’articolo originale, “Stars of the Dead”, sarà pubblicato sul numero di ottobre di Scientific American.