Nel 1904, un italiano scopriva nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, quella che probabilmente è la tomba più bella d’Egitto. L’italiano era Ernesto Schiaparelli, l’allora direttore del Museo Egizio di Torino, mentre la tomba apparteneva alla celeberrima Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramesse II (1279-1212).
Nonostante l’opera dei saccheggiatori che lasciarono ben poco del corredo originario, la QV66 resta un gioiello per la sua struttura architettonica, paragonabile a quelle che si trovano nella Valle dei Re, e, soprattutto, per il magnifico ciclo pittorico che abbellisce le pareti e il soffitto. E se oggi, più di 3200 anni dopo, possiamo ammirare colori ancora così vividi, dobbiamo ringraziare altri italiani che, con il loro lavoro, hanno cancellato i segni del tempo e i danni provocati dall’uomo. Tra questi, ne va ricordato uno in particolare che, in questi giorni, non parteciperà alle cerimonie per il 110° anniversario della scoperta della tomba, non perché non sia stato invitato, ma perché, purtroppo, è venuto a mancare prematuramente nel 2003: Adriano Luzi.
Marchigiano di Comunanza (AP), Adriano Luzi è stato uno stimato restauratore che, prima di arrivare in Egitto, si era già occupato di opere di Bernini, Daniele da Volterra e Jacopo Zucchi. Poi, nel 1986, il colpo di fulmine con la regina che può essere spiegato solo con le sue stesse parole:
“Nella tomba di Nefertari ho trascorso cinquecento giorni a tu per tu con la più bella, la più potente, colei per la quale il sole sorge. Nell’arco di sei anni abbiamo lavorato su ogni centimetro di 520 metri quadrati di pareti e soffitti dipinti, pulendo e consolidando, riattaccando frammenti di colore e sostituendo il micidiale cemento, collocato da precedenti restauratori, con impasti di fango e paglia degli antichi Egizi. Dentro quella tomba ho lasciato parte della mia vita, parte di me. Mi sono lasciato affascinare da Nefertari come mi sono lasciato conquistare dall’Egitto”.
Prima del restauro, le pitture erano in pessime condizioni, soprattutto a causa degli scellerati interventi degli anni ’50 con iniezioni di gesso e vinavil. Così, il Getty Conservation Institute (Los Angeles) investì due milioni di dollari e affidò i lavori di ripristino a Paolo e Laura Mora (Istituto Centrale per il Restauro di Roma). La loro equipe, tra cui c’era Luzi, riportò i dipinti ai vecchi fasti utilizzando solo prodotti naturali come calcare, limo, sabbia, fibre vegetali. Nonostante ciò, per la fragilità della tomba, si è deciso di impedire l’accesso ai turisti, salvo costosi permessi speciali, e, per sopperire alla chiusura al pubblico, a breve (in teoria), dovrebbero partire i lavori di realizzazione di una copia perfetta scala 1:1.
Il legame di Adriano con Luxor non si è interrotto grazie al restauro della TT240 a El-Asasif, la Tomba di Meru (funzionario sotto Mentuhotep II), sotto la direzione del Prof. Alessandro Roccati della “Sapienza” di Roma. E poi ancora il consolidamento degli affreschi della “Chiesa Sospesa” (El Muallaqa, Cairo Vecchia) e, per l’American Research Center in Egypt, dei monasteri copti di Sant’Antonio sul Mar Rosso, di San Paolo l’Eremita sul Mar Rosso e di San Bishoi (il cosiddetto “Monastero Rosso”) a Sohag.
Ma il modo giusto per rendere viva la memoria di un professionista è mostrare il frutto del suo lavoro, cosa possibile grazie a queste splendide foto gentilmente fornitemi da Damiano Luzi, fratello di Adriano, anch’egli purtroppo poi venuto a mancare. Le immagini mostrano alcune pitture della tomba di Nefertari prima e dopo il restauro. Il risultato è evidente; non servono ulteriori commenti: