In tempi di crisi economica, si sa, il settore più falcidiato dai tagli dei finanziamenti pubblici è quello della cultura. Il discorso vale soprattutto per il sistema egiziano perché, alla recessione globale, si sono aggiunti tutti i problemi nati con la “Primavera araba” e la conseguente instabilità politica. Basta vedere il budget statale messo a disposizione per il Ministero delle Antichità che è passato dai 1,3 miliardi di lire egiziane (circa 146 milioni di euro) del 2011 ai 125 milioni attuali (14 milioni). Una decurtazione del 90% in soli 4 anni! Questi sono i dati che ha presentato il ministro El-Damaty nell’ultima conferenza stampa cercando, in un certo senso, di giustificare una gestione sempre più difficile del patrimonio storico del paese: le missioni archeologiche locali diminuiscono, i restauri dei siti sono bloccati e la costruzione di musei è decisamente rallentata. Esemplari sono i casi del Grand Egyptian Museum e il Museo Nazionale della Civiltà Egiziana la cui inaugurazione è rimandata da anni ormai. Più della metà dei fondi pubblici è impiegata per pagare lo stipendio dei 39.000 dipendenti del ministero, comunque 7000 in meno rispetto al periodo pre-rivoluzione. I ricavi dai biglietti di musei e siti e dai bazar turistici affiliati non bastano, per questo si è cominciato a cercare altri progetti di self-funding come la vendita di riproduzioni di reperti archeologici e, soprattutto, le mostre all’estero come le recenti “Osiris, Egypt’s Sunken Mysteries” a Parigi e “The Golden Pharaohs and Pyramids: The Treasures from the Egyptian Museum, Cairo” a Tokyo.
Se poi aggiungiamo una gestione criminale delle somme stanziate per il ministero, la situazione si fa buia. A tal proposito, è di ieri la notizia di un’indagine amministrativa lanciata per verificare una presunta appropriazione indebita di una parte dei 150 milioni LE (16,8 milioni €) donati all’Egitto da altre nazioni, soprattutto Giappone, per la costruzione del GEM.