Ancora una mummia a minacciare le nostre esistenze… soprattutto quelle di chi, come me, è andato al cinema negli ultimi giorni. Ieri sera, infatti, ho visto in sala l’ennesimo prodotto cinematografico basato sul franchise del non-morto egizio che si risveglia dal suo sonno millenario per uccidere e conquistare il mondo. Questa volta, però, il mostro è donna e sexy (ma, come vedremo, non è nemmeno una trovata così originale).
La seguente sarà un’analisi a caldo de “La Mummia” di Alex Kurtzman, uscita in Italia lo scorso giovedì, quindi meno particolareggiata delle altre recensioni della rubrica. Mi baserò su spunti notati a una prima visione e – siete avvertiti – ci saranno spoiler.
Seguendo la moda delle serie dei cinecomics, anche la Universal Pictures ha deciso di creare il proprio universo narrativo condiviso popolandolo dei suoi mostri classici. La mummia è solo la prima creatura a comparire nella lunga lista del Dark Universe in cui vedremo anche il mostro di Frankenstein, l’uomo invisibile, l’uomo lupo, Dracula, il mostro della laguna nera, il gobbo di Notre Dame, il fantasma dell’Opera, ecc.
L’idea di fondo è che il Male (con la “m” maiuscola in quanto entità suprema; chiamatelo Satana se volete), fin dall’inizio dei tempi, abbia sempre provato a raggiungere il mondo incarnandosi in un corpo terreno. Da questi tentativi derivano i vari orripilanti personaggi cacciati da una società segreta, la Prodigium, che è diretta da Dr. Jekyll/Mr. Hyde (Russel Crowe). Si prospetta quindi un’alleanza di mostri buoni che combattono mostri cattivi sulla falsa riga della “Leggenda degli uomini straordinari”.
“La Mummia” serve soprattutto a introdurre questo nuovo universo e, per farlo, toglie spazio alla vera protagonista che risulta un po’ troppo in ombra. Perciò, il prodotto non può essere considerato neanche un reboot di quello diretto da Sommers nel 1999, pur strizzando l’occhio ai suoi fan con molte citazioni (il colpo di pistola per attivare antichi meccanismi, il volto nel muro di sabbia, il libro di Amun-Ra ecc.).
Dal punto di vista ‘egittologico’, c’è poco da dire anche perché, se si esclude il flashback iniziale e l’ultimissima scena conclusiva, nemmeno un secondo della narrazione è ambientato in Egitto. Nel complesso, ho trovato il film meno peggio di quello che mi aspettavo seppur macchiato da due gravi problemi: i buchi di trama – vengono inseriti espedienti assurdi nella sceneggiatura – e Tom Cruise, per niente credibile nel suo ruolo. Ma la pecca più grave è stata l’avermi illuso con “Paint It, Black” – una delle mie canzoni preferite – nel trailer per poi non utilizzare una singola nota degli Stones nella colonna sonora!
La principessa Ahmanet (Sofia Boutella) è figlia ed erede al trono di un generico faraone di Nuovo Regno (anche se a volte si dice erroneamente 5000 anni fa, altre 3000; poi compare anche un cartiglio di Unas che ha regnato durante l’Antico Regno intorno al 2350 a.C.). Vedendo minacciata la sua successione dalla nascita di un altro principe maschio, stringe un patto con Seth -erroneamente definito dio dei morti- venendone impossessata e uccidendo tutti i membri della famiglia.
La presenza malvagia nel suo corpo si manifesta con lo sdoppiamento delle iridi (un po’ come succede a me dopo una giornata passata a tradurre geroglifici…) e la comparsa di tatuaggi sulla pelle che sembrano più segni semitici. Il rituale per far venire al mondo il dio prevederebbe, come nelle classiche storie dell’Anticristo, il concepimento di un bambino da un mortale e il suo sacrificio con il pugnale di Seth. Ma Ahmanet viene bloccata dai sacerdoti e condannata alla mummificazione in vita. Il suo sarcofago, poi, viene sepolto lontano, molto lontano dall’Egitto.
Quindi, il villain non è più l’iconico Imhotep ma una donna, idea che, se seguite questa rubrica, non vi suonerà nuova. Già nel 1971, infatti, la Hammer aveva pensato a una mummia femminile in “Blood from the Mummy’s Tomb” (in Italia “Exorcismus – Cleo, la dea dell’amore”), ripreso 9 anni più tardi da Mike Newell per “The Awakening” (“Alla 39ª eclisse”).
Da qui iniziano le trovate senza senso per tener in piedi il canovaccio del racconto e per giustificare l’ambientazione divisa tra Iraq e Inghilterra. Nel 1127, un gruppo di cavalieri crociati britannici invase l’Egitto (in realtà, lo fecero tra 1154 e 1169) portando in patria una serie di reliquie tra cui il Pugnale di Seth. Le loro tombe vengono scoperte fortuitamente nel sottosuolo di Londra durante lo scavo di una galleria ferroviaria. Di fronte all’eccezionale ritrovamento, gli uomini della Prodigium prendono in mano la direzione dei lavori e riescono a individuare solo la gemma rossa dell’arma.
Nel frattempo, in Mesopotamia, nei pressi di Ninive, due soldati americani, Nick Morton (Tom Cruise) e Chris Vail, approfittano della distruzione iconoclasta dell’ISIS per razziare a loro volta antichità e rivenderle al mercato nero. In particolare, si trovano nel leggendario sito di Haram portati da una mappa che Nick aveva rubato all’archeologa Jenny Halsey. Qui, dopo un bombardamento aereo, si apre una voragine nel terreno che rivela la presenza di una gigantesca caverna sotterranea con un mascherone egittizzante: si tratta del luogo di sepoltura di Ahmanet… ne hanno fatta di strada i sacerdoti!
In fondo all’antro, un pozzo pieno di mercurio liquido, sorvegliato da sei statue di Anubi, custodisce il gotico sarcofago della principessa che viene issato con una fune e trasportato penzoloni in elicottero come se nulla fosse.
Nel tirar su la bara, la principessa entra nella mente di Nick, ormai suo prescelto, maledendolo; i dialoghi nella visione sono resi abbastanza bene con la vocalizzazione convenzionale del tardo egiziano, cosa che presuppone la consulenza di egittologi che, però, non compaiono nei crediti. Il trasporto del sarcofago verso gli USA (perché?) avviene con un C-130 che, per esperienza personale, non è pressurizzato né silenzioso come nel film. L’aereo non arriva a destinazione perché Ahmanet lo fa precipitare nel mezzo dell’Inghilterra, proprio nelle vicinanze di una chiesa crociata dove è nascosto il pugnale.
Lo scopo è chiaro: terminare il rituale d’invocazione di Seth usando questa volta Nick, sopravvissuto illeso all’incidente. La decrepita mummia comincia a riformarsi nel corpo succhiando l’anima di tutti coloro che le si parano davanti, ma non riesce nel suo intento perché la gemma rossa è stata divisa dall’arma con cui avrebbe dovuto uccidere la sua vittima sacrificale. Inoltre, catturata dagli uomini di Jekyll, viene portata nella loro base segreta sotto il Natural History Museum di Londra.
È qui che la Prodigium raccoglie oggetti magici (tra cui il Libro di Amun-Ra) e i corpi dei mostri uccisi; stessa cosa vorrebbe fare con Ahmanet che, però, riesce a liberarsi e a distruggere mezza City con una tempesta di sabbia. S’impossessa perfino del pugnale e della gemma riunendoli per il rito finale, ma Nick, nonostante sia comandato mentalmente, decide di autopugnalarsi per prendere i poteri di Seth, sconfiggere il nemico e resuscitare la sua amata egittologa che nel frattempo era annegata.
Qualcosa evidentemente non torna. Al di là dell’insensatezza della mummia che, pur controllando il soldato, non gli ordina cosa fare e si fa rubare il pugnale dalle mani, non si capisce la facilità di Nick nel ribellarsi dalla possessione di un dio e, anzi, di servirsene. Fatto sta che l’incarnazione di Seth sarà probabilmente tra i paladini che combatteranno il male nei prossimi film della Universal. Magari al fianco di Quasimodo…