Solo qualche giorno fa, il ministro El-Damaty aveva annunciato la ripresa dei lavori di restauro della Piramide di Djoser interrotti nel 2012 per carenza di fondi e per problemi d’instabilità politica. Ma, subito sono scoppiate accese proteste, soprattutto contro la decisione di riaffidare l’appalto alla società Shurbagy che aveva già operato in precedenza a Saqqara.
Infatti, Amir Gamal, rappresentante del movimento “Non-stop Robberies”, ha accusato il Ministero delle Antichità di negligenza per aver scelto una compagnia che, priva di esperienza nel campo archeologico, avrebbe lavorato per nove anni (dal 2006) fallendo tutti i sei progetti che si era preposta. Inoltre, sempre secondo l’attivista, gli interventi completati finora andrebbero contro gli standard internazionali che impongono un massimo del 5% per le nuove aggiunte alle costruzioni antiche. I nuovi muri, fatti con materiale non originale, cambierebbero l’aspetto stesso della piramide e avrebbero causato anche un recente crollo.
Effettivamente, guardando l’album del cantiere sulla pagina facebook dell’Egypt’s Heritage Task Force, il cambiamento della facciata meridionale appare netto e la descrizione riportata per una delle foto è lapidaria: “They are building a new pyramid”. Resta da vedere quanto questi interventi strutturali siano fondamentali per prevenire il collasso della piramide e se metodi e materiali impiegati siano adatti allo scopo.
Dopo questo putiferio, il ministero ha rassicurato l’opinione pubblica sulla sicurezza del monumento smentendo le voci sul crollo di un blocco (ma cos’altro poteva fare?). Kamal Wahid, direttore delle antichità di Giza, ha aggiunto che la Shurbagy è più che qualificata (categoria A) e che i lavori sarebbero stati approvati anche dall’UNESCO. Il deterioramento della superficie esterna, invece, sarebbe dovuto solo agli agenti climatici, erosione del vento e riaffioramento delle falde acquifere sotterranee, e non dagli effetti del restauro.