Puntata international per la rubrica “L’Egitto di Provincia”! Questa volta, non recensirò una collezione di un piccolo centro italiano ma due musei che ho visitato a Creta grazie a uno dei tanti viaggi organizzati dall’Associazione VOLO. Trovare reperti egizi a Creta non è per niente strano perché i rapporti dell’isola greca con la Valle del Nilo affondano le radici addirittura nel IV millennio a.C. Infatti, frammenti di vasi litici protodinastici e di Antico Regno (ad esempio una coppa con il cartiglio del faraone di V dinastia Userkaf) sono stati ritrovati in sepolture minoiche, anche se non è dato sapere se corrispondano effettivamente al risultato di scambi commerciali dell’epoca. Più sicure sono le rotte navali del III e, soprattutto, del II millennio, quando, insieme alle merci, viaggiavano anche idee artistiche e religiose che influenzarono entrambe le civiltà.
Durante il Nuovo Regno, e in modo particolare sotto Tuthmosi III (1479-1424), sono attestate perfino visite di emissari di Keftiu (come gli Egizi chiamavano Creta) alla corte dei faraoni, rappresentate sulle pareti delle tombe dei funzionari di Tebe. In quella del visir Rekhmira, ad esempio, la meticolosità nella realizzazione dei particolari non lascia alcun dubbio sulla provenienza di alcuni dei portatori di tributi (a sinistra, una riproduzione dell’originale dipinta da Nina de Garis Davies e conservata presso il Metropolitan Museum di New York). Acconciature, gonnellini, decorazioni dei vasi sono il sintomo di una perfetta conoscenza di quelle popolazioni settentrionali, anche se le scene fanno parte di una convenzione propagandistica che vede l’Egitto a capo di tutto il mondo conosciuto. Come spesso accade nell’archeologia, i corredi funebri sono lo specchio delle società a cui appartengono e, in questo caso, rappresentano strumenti fondamentali per studiare questi contatti. A Creta, come in tanti altri luoghi del Mediterraneo, scarabei, amuleti e statuette egizie accompagnano la ceramica e gli altri oggetti di produzione locale e i musei archeologici di Chania ed Heraklion ne conservano alcuni esempi. Il Museo Archeologico di Chania è situato a NO dell’isola, nella città che, dal XIII al XVII secolo, rimase sotto il dominio dei Veneziani. Ed è proprio di origini veneziane l’edificio che ospita la collezione, cioè lo splendido convento di San Francesco (XV sec.), convertito a moschea dagli Ottomani e, nel XX secolo, prima sede di un cinema, poi magazzino militare e, infine, museo dal 1962. I reperti esposti nelle tre navate della chiesa sono stati tutti scoperti nei dintorni di Chania negli ultimi 50 anni e vanno dal Neolitico al periodo romano, passando per le varie fasi della storia minoica ed ellenistica. I pezzi corrispondono soprattutto a contenitori ceramici, sigilli, impronte di sigillo, monete e tavolette in “lineare A” e “lineare B”, ma ci sono anche statue e mosaici greco-romani. La musealizzazione lascia un po’ a desiderare; spesso mancano cartelli descrittivi e gli oggetti sono ammassati in gran numero dietro le vetrine, ma una nuova sede è in fase di realizzazione. Le antichità egizie si limitano a una decina di scarabei, tra cui ne spicca uno (vedi immagine a sinistra) in faience blu-verde annerita dal fuoco che presenta il cartiglio di Amenofi III (1403-1364). Grazie allo stampo su gesso, si legge il preanomen Neb-Maat-Ra (“Ra è signore di giustizia”) completato dalla formula Mery-Ra, “Amato da Ra”. Invece, gli altri scarabei, come qualche altro amuleto, sono solo sigilli minoici egittizzanti, cioè copie locali in pietra. Di spessore completamente diverso è il Museo Archeologico di Heraklion, sede della più vasta e importante collezione minoica del mondo. Nell’edificio modernista dell’architetto Patroklos Karantias (1937-40), sono esposti tutti i capolavori della storia cretese, come il “Disco di Festos”, le figurine delle cosiddette “Dee dei Serpenti” e gli affreschi del Palazzo di Cnosso (compresa la taurocatapsia all’inizio dell’articolo). In quasi tutte le venti stanze, ho scovato qualche oggetto familiare. Particolarmente apprezzati erano gli scarabei in pietra dura e i vasi in alabastro o diorite che erano offerti nelle tombe ai defunti o nei santuari agli dèi. Esempio illustre è l’anfora in alabastro (vedi foto a sinistra), trovata nella necropoli presso il palazzo di Katsambas (Periodo Palaziale Finale, 1450-1300), con il doppio cartiglio di Thutmosi III: Men-Kheper-Ra e Djehuty-Mes. Statuette di divinità egizie, invece, soprattutto di Bes e Osiride, realizzate in avorio, ceramica o bronzo, vennero importate fino al II sec. a.C. Ma sono tante anche le produzioni, sia locali che levantine, che imitano il gusto egiziano, come un curioso sistro in terracotta (foto in basso). http://odysseus.culture.gr/h/1/eh151.jsp?obj_id=3327