La parola “provinciale”, se ci si riferisce al suo significato connesso ai limiti, geografici e non, di un preciso territorio, ha come ovvio contrario “universale”, cioè ciò che riguarda l’umanità intera. Così, potrebbe sembrare un controsenso parlare, in questa rubrica, proprio di un’esposizione mondiale; ma, descrivendo tutte le collezioni egizie minori d’Italia, il mio intento era segnalarvi la presenza di reperti nilotici nei posti più inaspettati e anche all’Expo2015 di Milano, fino al 31 ottobre, sarà possibile trovarne alcuni. Il tema ufficiale di quest’anno è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, l’alimentazione vista in ogni suo aspetto, dall’educazione alimentare al problema della fame nel mondo, dagli OGM ai prodotti tipici nazionali e regionali. Tra gli argomenti affrontati nell’evento, c’è anche la storia dell’uomo raccontata attraverso il suo rapporto con il cibo e lo sfruttamento delle risorse naturali.
La ricerca del cibo è da sempre uno dei nostri bisogni primari che ha influenzato la nostra evoluzione fisica, tecnologica e culturale. Nell’illustrare i passi dell’uomo, dalle prime società di cacciatori-raccoglitori alla produzione industriale in serie dei beni alimentari, non poteva mancare l’Egitto, una delle prime grandi civiltà agricole della storia. Testi scritti, scene dipinte, reperti organici perfettamente conservati dal particolare clima caldo-secco fanno sì che si conosca molto delle tecniche di coltivazione e allevamento, dei prodotti utilizzati e perfino delle ricette (a questo proposito, consiglio la lettura di “Piramidi e pentole”). Non è un caso, quindi, che una piccola coppa proveniente dal Museo Egizio di Torino (a sinistra, n° catalogo: S. 01825) sia diventata il simbolo del Padiglione Zero e sia stata riprodotta con una gigantografia del diametro di 7 metri proprio sulla facciata dell’edificio all’ingresso del Sito Espositivo (vedi foto in alto). La scelta di quest’oggetto è dipesa sia dalla sua antichità (Naqada I, 3900-3650 a.C. circa) che dal motivo decorativo che vede un uomo stilizzato al centro del mondo vegetale e animale. L’apporto del museo torinese non si esaurisce qui. Sempre per lo stesso padiglione, sono stati prestati alcuni reperti che si aggiungono ai recipienti di altre epoche esposti nella sala “Raccogliere, trasportare, conservare, trasformare”, l’unica con del materiale archeologico: da Gebelein, una forma per pane (S. 13960) in terracotta risalente alla V dinastia (2435-2305 a.C.) e un sacchetto miniaturistico per granaglie (S. 13688), realizzato in corde intrecciate nel I Periodo Intermedio (anche se la didascalia nella vetrina indica erroneamente VII-XI “secolo” al posto di “dinastia”, 2118-1980 a.C.) e, probabilmente da Tebe Ovest, un bel vaso antropomorfo porta unguento (Cat. 3646) di XVIII din. (1539-1292 a.C.). Lo stretto rapporto del nuovo Egizio con l’Esposizione di Milano si basa soprattutto su motivi promozionali; infatti, per attingere allo sconfinato bacino di visitatori lontani solo 40 minuti di alta velocità, si è lottato contro il tempo per terminare i lavori di riallestimento entro il 1 aprile, un mese esatto prima dell’inaugurazione dell’Expo.
Tra le 145 nazioni presenti, anche l’Egitto ha il suo piccolo padiglione, incluso nel Cluster Bio-Mediterraneo. Il tema di partecipazione, “La storia infinita”, è ovviamente legato alle radici millenarie del Paese e una Iside virtuale accompagna i visitatori tra pannelli multimediali, video 3D ed esperienze in realtà aumentata. Non manca l’atmosfera un po’ kitsch da suq orientale con le copie dei più famosi reperti faraonici (la maschera di Tutankhamon, il busto di Nefertiti, lo Zodiaco di Dendera, ecc.) accatastate a casaccio agli angoli delle quattro sale.