Si avvicina Natale. Cade la neve, le vetrine dei negozi si riempiono di lucine colorate, le strade si congestionano per il traffico dei ritardatari del regalo e nelle multisale si proiettano i cinepanettoni. Ebbene sì, speravo che questo momento non arrivasse mai, ma mi tocca parlare di “Natale sul Nilo”…
Per realizzare questo degno erede del filone di “Vacanze di Natale”, De Laurentiis decise di spostare la location dai campi di sci di St. Moritz e Cortina a mete più esotiche, purtroppo cominciando con l’Egitto. Così, nel 2002, la Filmauro affidò la direzione del film a Neri Parenti, “maestro” del genere e regista di svariati Fantozzi. La sceneggiatura è sempre la stessa: un’intreccio banale di storie demenziali condite da battute da scuola media, parolacce, tette, peti e deiezioni corporali varie. Basta ricordare la scena in cui le bende di una mummia vengono utilizzate come carta igienica. I protagonisti sono Boldi e De Sica, non ancora divorziati, Enzo Salvi, Biagio Izzo e i Fichi d’India, mentre, per la colonna sonora, come al solito si è sfruttato il tormentone estivo dell’anno, in questo caso Aserejé delle Las Ketchup. Non esattamente da premio oscar; ma, da un film che inizia e finisce con Maria De Filippi, cosa vi aspettate? Nonostante, o, più probabilmente, grazie a queste premesse, “Natale sul Nilo” ha incassato ben 28 milioni di euro, il 6° risultato più alto tra i film italiani e l’11° generale tra tutti quelli trasmessi nel Paese che ha dato i natali a gente come Fellini, Rossellini, Bertolucci, Visconti, Pasolini e De Sica (padre). Alla luce di tutto ciò, i blooper egittologici non smuovono di una virgola il risultato finale di una pellicola che, se non fosse stato per questa maledetta rubrica, non avrei mai visto. Ma, almeno, non troverò niente di peggio.
Per diversi motivi, che non ho assolutamente voglia di spiegare, i protagonisti si trovano tutti a passare le vacanze di Natale-Capodanno in Egitto e, come quasi sempre succede nei film ambientati nella Valle del Nilo, si procede attraverso tappe fisse stereotipate: Cairo, Luxor, Abu Simbel. Si inizia dalla Piana di Giza e, più precisamente, da quello che dovrebbe essere l’interno della Piramide di Chefren. Dovrebbe, perché ciò che si vede, in realtà, è la sala ipostila del Tempio Maggiore di Abu Simbel (distante solo 1100 km), palese dai pilastri osiriaci e, in fondo, dal sancta sanctorum con le statue di Ptah, Amon-Ra, Ramesse II e Ra-Harakhty (vedi foto in alto). Nella “piramide”, una guida parla della fantomatica leggenda degli “anelli della buona e della cattiva sorte di Chefren” che vengono scoperti dai Fichi d’India in un nascondiglio segreto (in basso a sinistra. Ho trovato alcuni miei quadernini delle elementari in cui disegnavo i geroglifici allo stesso modo). Intanto, in un’altra sala, Boldi ha problemi di dissenteria e non trova altro modo per pulirsi che approfittare di una mummia impilata a mo’ di kebab che la solita guida definisce come «l’unica perfettamente conservata» (a Ramesse II non piace questo elemento) e vecchia di 4000 anni (inutile dire che Chefren sia morto almeno 500 anni prima).
Dopo decine di altre gag da spanciarsi dalle risate (sarcasmo mode ON), tutti partono per una crociera sul Nilo e pazienza che si veda il Lago Nasser. Comunque, si viene a sapere che il figlio del fedifrago De Sica è uno studente di egittologia che vuol presentare ai genitori la sua collega e fidanzata, ma lei, ovviamente, finirà a letto con il “suocero”. Il battello arriva, questa volta veramente, ad Abu Simbel dove ci sono «quei quattro capoccioni che mettono ansia» (a Ramesse II non piace questo elemento #2) e qui si ferma fino alla fine delle vacanze.
Ma, senza tener conto della geografia, alcuni personaggi raggiungono Luxor e tornano indietro in serata. Sembra proprio che il problema delle distanze sia comune a quasi tutti i film che ho analizzato finora. Salvi, che interpreta un’impresario televisivo, chiama le sue ballerine dal minareto della Moschea di Abu el-Haggag (quella che si trova sulle rovine del Tempio di Luxor), mentre i Fichi d’India, subendo fortuna e sfiga provocata dai rispettivi anelli, vengono schiacciati da un blocco caduto dalla cima della Grande Sala Ipostila di Karnak. Stessa circostanza che si ritrova in “Assassinio sul Nilo” e, come vedremo, in “007 – La spia che mi amava” quindi, se fossi in voi, guarderei in alto visitando il tempio. Per il resto, c’è poco da dire, a parte una preziosa anfora del periodo Micerino in cui Boldi urina e il ciondolo magico di Cheope (la conoscenza egittologica degli sceneggiatori era limitata alla IV dinastia) che assomiglia a uno di quei cammelli “Made in China” che vendono nei suq.