Sono stato fortemente combattuto tra il dar voce o meno alle polemiche, a mio avviso pretestuose, che hanno coinvolto, soprattutto negli ultimi giorni, il Museo Egizio di Torino. Ma, visto che gran parte del caos creatosi deriva da una generale mancanza d’informazione, alla fine ho deciso di parlarne per mettere in chiaro un paio di cose; anche perché, ieri, il direttore di uno dei musei più virtuosi d’Italia è stato costretto a difendersi in pubblico da accuse tanto infamanti quanto insensate.
La vicenda ormai è nota da un anno, da quando Evelina Christillin, presidentessa della Fondazione Museo delle Antichità Egizie, aveva annunciato al TG1 la possibilità di trasferire temporaneamente a Catania alcuni reperti dei depositi. Subito dopo, Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega Nord al Consiglio comunale di Torino, si era opposto a quella che era – ed è tuttora – solo l’eventualità di portar via dalla città qualsiasi oggetto, ‘minacciando’ addirittura di sdraiarsi all’entrata del museo per impedirne l’uscita. Nel frattempo, il progetto è andato avanti e si è arrivati QUASI a una soluzione comune tra direzione dell’Egizio, Soprintendenza di Torino, Comune di Catania e MiBACT.
Insomma, un progetto che piace a tutti… o quasi. Nell’ultimo mese, infatti, è nato il “Comitato Museo Egizio Patrimonio Inalienabile” con lo scopo di raccogliere le firme dei cittadini e scongiurare che -cito- «una parte della collezione del Museo Egizio di Torino venga sottratta alla città per creare una “sezione distaccata” a Catania». Il testo della petizione continua così: «Gli accordi pare prevedano un prestito della durata di trent’anni (in pratica un trasferimento definitivo). Insostenibile il pretesto addotto, vale a dire che a Torino e in tutto il Piemonte non ci sarebbero spazi espositivi sufficienti, conoscendo l’alto numero di immobili attualmente inutilizzati. Non vengono forniti dati precisi sul numero di reperti che verrebbero trasferiti (ma potrebbero essere, pare, addirittura 17mila)». Nonostante le oltre 10.000 sottoscrizioni, i sit-in di protesta organizzati dal Comitato hanno sempre visto poche unità di partecipanti, a malapena sufficienti a tener tesi gli striscioni ma, a quanto pare, bastanti a costringere il Comune a un incontro pubblico per risolvere la faccenda.
Ieri mattina, infatti, durante la V Commissione consiliare (Cultura), il direttore Christian Greco e la Soprintendente Maria Luisa Papotti hanno smentito alcune notizie false diramate dal Comitato, fra l’altro diffidato di «condotta illecita», e non solo. In particolare, Greco si è detto offeso dell’accusa di voler impoverire l’Egizio quando, invece, i numeri parlano chiaro: gli avanzi di bilancio degli ultimi due anni (grazie alla biglietteria, il Museo si autofinanzia al 118%) hanno permesso – caso unico in Italia – di far ricerca, finanziare tirocini e borse di dottorato, di lavorare all’ulteriore ingrandimento degli spazi espositivi. I pezzi in comodato sarebbero 300 e non 17.000 e al massimo per un periodo 5 anni, limite imposto dalle leggi italiane. Questa piccola raccolta proviene tutta da Tebtunis (Umm el-Bagarat), città del Fayyum famosa per i papiri demotici e greci che fu fondata da Amenemhat III intorno al 1800 a.C., ma sviluppatasi soprattutto nel periodo tolemaico. La nascita della ‘succursale’ di Catania permetterebbe a 5 nuovi ricercatori di studiare questi oggetti che non sarebbero mai stati esposti a Torino, non solo per mancanza di spazio. Prima del trasferimento, però, per testare la risposta del pubblico siciliano, sarebbe riallestita per 9 mesi la mostra “Missione Egitto 1903-1920” che sarà inaugurata a Torino il 10 marzo (parteciperò all’anteprima e presto pubblicherò aggiornamenti sul blog e sui vari social).
Alla fine, anche Francesca Leon, assessora alla Cultura del Comune di Torino, ha appoggiato a pieno il progetto “Catania” e l’operato del Museo Egizio degli ultimi due anni, ma le polemiche non si sono spente con il Comitato che non è stato soddisfatto delle risposte date.
Ora qualche mia considerazione personale.
- Come anticipato, le polemiche sono nate da chiari pretesti politici della minoranza (la Lega che si oppone al trasferimento in Terronia di un patrimonio padano, così come alla campagna d’ingressi gratuiti per i cittadini di lingua araba) e dalla scarsa conoscenza dell’argomento: le 10.000 sottoscrizioni, non seguite da un reale impegno sul campo, sono lo specchio del moderno utilizzo dei social network, fucina di bufale, notizie non verificate e sfoghi egoistici. Sono sicuro che moltissimi firmatari non abbiano mai visitato il Museo Egizio, ma, nonostante ciò, si arrogano comunque il diritto di dire la loro basandosi sul “sentito dire”. Qualcuno parlerebbe di analfabetismo funzionale.
- Il trasferimento, addirittura all’estero, di parte del proprio patrimonio museale è prassi già consolidata nel mondo ed è atta ad accrescere la conoscenza di un’stituzione verso nuovi “mercati” (scritto con mille virgolette). L’esempio più famoso è sicuramente la sezione del Louvre che aprirà ad Abu Dhabi.
- La cultura va condivisa con ogni mezzo. Che male c’è nell’esporre altrove reperti che, per motivi di spazio o altro, non sarebbero mai visibili a Torino? È un po’ come il bambino che frignando minaccia di portare via il SUO pallone se non coinvolto nel gioco dai suoi compagni. Ma facciamo attenzione con questo ragionamento infantile perché, seguendo la stessa logica, potrebbe arrivare il bambino egiziano a cui il pallone è stato sottratto tanto tempo fa.
- In quest’ottica, sarebbe inutile scegliere un’altra sede dell’Egizio in Piemonte come suggerito dai manifestanti. Non ci sarebbe alcuna crescita dell’offerta culturale con una succursale di pezzi ‘minori’ a due passi dal nucleo originario.
- Infine, bisogna sfatare un po’ di leggende metropolitane sui depositi museali. Spesso la gente, complici alcuni libri e film, si chiede quanti tesori siano nascosti nei sotterranei e il perché non siano visitabili. È vero che la parte visibile del patrimonio di tutti i musei è solo la punta dell’iceberg, ma non dipende solo dalla mancanza di spazio. Molti oggetti sono troppo fragili per essere esposti o solamente spostati, quindi restano nei magazzini per motivi di conservazione. Altri non hanno interesse se non scientifico: decine, centinaia di frammenti o ‘doppioni’ di produzioni in serie hanno un grandissimo valore per gli studiosi, ma rischierebbero di annoiare il visitatore. Per questo vengono scelti solo alcuni esemplari per rappresentare ogni tipologia dal punto di vista formale e funzionale. Certo, si può sempre pensare a iniziative che aprano sempre di più il museo al pubblico, come la rotazione ciclica di alcuni pezzi per permetterne il restauro o l’accesso straordinario ai depositi; ma in questo, di certo non ci si può lamentare dell’Egizio che, di un totale di 37.000 pezzi, ne espone 3500 più gli oltre 10.000 delle “Gallerie della cultura materiale” che sono state progettate proprio per porre l’attenzione sulla serialità artigianale piuttosto che sui singoli prodotti.