Tornano le grandi scoperte a Saqqara e, come al solito, non so da dove iniziare! Questa mattina, nei pressi della Piramide di Djoser, le maggiori autorità del Ministero del Turismo e delle Antichità e del Supremo Consiglio delle Antichità hanno annunciato a colleghi, giornalisti e ambasciatori stranieri il ritrovamento nell’area del Bubasteion di due laboratori – definiti i più grandi e completi mai individuati – per la mummificazione di uomini e animali, risalenti tra la fine della 30a dinastia e l’inzia dell’epoca tolemaica (350-250 a.C. circa).
Il laboratorio d’imbalsamazione umana è un edificio a pianta rettangolare con muri in mattoni di fango, diviso in una serie di stanze contenenti due letti su cui erano adagiati i cadaveri da trattare. L’utilizzo dei letti, alti 50 cm, lunghi 2 metri e larghi 1, è palesato dal materiale in cui sono fatti, cioè blocchi di pietra ricoperti da malta impermeabile, e dall’inclinazione che permetteva il deflusso in uno scolo del sangue e degli altri liquidi organici. Negli ambienti sono stati trovati diversi vasi ceramici per la conservazione degli ingredienti per la mummificazione (qui un approfondimento sulle origine esotiche di questi prodotti), coltelli, pinze e altri utensili, una gran quantità di lino e resina per il bendaggio, amuleti e strumenti rituali.
Anche il luogo per la mummificazione degli animali è un edificio rettangolare in mattoni crudi, con pavimento in calcare, in cui sono incassati 5 letti più piccoli, e una suddivisione interna di stanze preposte a diverse fasi della probabile imbalsamazione di gatti, vista la vicinanza al Bubasteion, il santuario consacrato alla dea Bastet.
Le scoperte non si fermano qui. Come infatti successo più volte nella stessa zona, sono state rinvenute anche due tombe di epoche diverse che testimoniano l’utilizzo continuato della necropoli nel corso dei millenni. La prima apparteneva a un funzionario della 5a dinastia (2400 a.C. circa), Ni-hesut-ba, “Sovrintendente degli scribi”, “Responsabile dello scavo dei canali” e sacerdote di Horus e Maat. In ogni caso, si tratta di una mastaba con la facciata che reca nome e titoli del proprietario e della moglie, una stanza trasversale con le classiche scene di vita quotidiana dell’Antico Regno, come attività agricole, caccia e pesca, e la camera funeraria con stele falsa-porta, scene della cerimonia funebre e elenchi di offerte (foto in alto).
La seconda tomba, appartenuta a Menkheper, sacerdote della dea cananea Kadesh durante la 18a dinastia (1400 a.C. circa), rispecchia la tradizione del Nuovo Regno ed è in parte scavata nella roccia. Dopo una porzione in muratura, c’è una stanza quadrata con pitture alle pareti che raffigurano defunto e moglie seduti davanti a una tavola d’offerta. Ma qui spicca la scoperta in una nicchia della bellissima statua in alabastro, alta un metro, di Menkheper, seduto in trono e con un fiore di loto portato al petto. Proprio sul busto reca quattro cartigli reali con la titolatura dei faraoni Thutmosi III e IV, che fra l’altro condividevano parzialmente con lui il prenome. Titoli e nome sono scritti in geroglifici blu sulla lunga veste bianca (foto a sinistra).
La missione ha inoltre effettuato diversi altri ritrovamenti, tra cui un gruppo di statue in pietra e in legno di funzionari della 5a dinastia, un sarcofago perfettamente conservato in legno dipinto della fine del Nuovo Regno e dell’inizio del Terzo Periodo Intermedio (foto in alto), tavole d’offerta, amuleti, scarabei, ushabti, casse canopiche, sigilli, figurine in fango, frammenti di papiro, statuette di Ptah-Sokar-Osiride e perfino vasi contenenti formaggio di capra del 600 a.C.