Uno dei più importanti documenti storici dell’antico Egitto si trova curiosamente nel capoluogo siciliano, da quando, nel 1877, l’avvocato e collezionista d’arte Ferdinando Gaudiano donò all’allora Regio Museo Archeologico una lastra di basalto interamente ricoperta da geroglifici. Oggi, la cosiddetta “Pietra di Palermo” è uno dei reperti principali del Museo archeologico regionale “Antonio Salinas” e continua a fornire preziose informazioni su una delle più remote fasi della civiltà faraonica.
“Il Salinas è un museo molto variegato”, spiega la sua direttrice, Caterina Greco, “che nasce in un panorama culturale nuovo che vede nel museo il centro propulsore della cultura e della ricerca archeologica, nonché l’istituzione che ha lo scopo di raccontare al pubblico la storia del Mediterraneo”.
La Pietra di Palermo (circa 43 cm di altezza x 25 di larghezza x 6,5 cm di spessore) è il più antico esempio conosciuto di “annale regale” e reca iscritti su entrambi i lati – unico caso nel suo genere – i nomi dei faraoni delle prime cinque dinastie (dal 3200 al 2350 a.C. circa), i principali eventi storicin accaduti durante i relativi anni di regno e i livelli raggiunti dalle piene del Nilo.
Questo frammento faceva parte di un’iscrizione più grande, a cui sembrerebbero appartenere altri 6 pezzi, di cui 5 attualmente conservati presso il Museo Egizio del Cairo e uno al Petrie Museum di Londra. La porzione “siciliana” è sicuramente la più grande e meglio conservata e sulla sua lettura si basa la stragrande maggioranza delle informazioni storiche, solo in alcuni casi confermate anche da scoperte archeologiche, su oltre 700 anni che coprono il Periodo Protodinastico e buona parte dell’Antico Regno.
L’eccezionale valenza storica del documento ha attratto, nel corso dei decenni, l’attenzione di diversi studiosi che, tuttavia, hanno dovuto fare i conti con lo stato di conservazione non ottimale della Pietra – in particolare della parte posteriore o ‘verso’ – e con la mancanza di informazioni sulle origini del reperto. Tra tutti i 7 frammenti, infatti, solo uno, oggi al Cairo, è stato ritrovato in un contesto archeologico (a Mit Rahina, l’antica Menfi), mentre gli altri provengono dal mercato antiquario.
Un recente studio, tuttavia, ne sta svelando gli ultimi segreti grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie. A partire dallo scorso settembre 2018, un’equipe diretta dall’egittologo Massimiliano Nuzzolo (Università Carlo IV di Praga) ha iniziato un lavoro di riconsiderazione globale di tutti i frammenti dell’annale regale, e in particolar modo della Pietra di Palermo, nell’ambito di un progetto di ricerca sul culto solare e l’ideologia regale nell’antico Egitto finanziato dalla Czech Science Foundation.
L’obiettivo primario della ricerca è stato la rilettura del testo geroglifico iscritto su tutti i frammenti tramite la nuova tecnica di analisi fotografica digitale chiamata “Reflectance Transformation Imaginig” (RTI), da poco applicata con ottimi risultati anche per lo studio dei papiri carbonizzati di Ercolano.
La tecnologia RTI consiste nello scattare un elevato numero di fotografie ad altissima risoluzione di uno stesso oggetto senza variare la posizione della fotocamera, ma modificando la fonte di luce e le sue angolature. In questo modo, un software è in grado di ricomporre virtualmente l’oggetto investigato rendendolo di gran lunga più leggibile e mostrando dettagli invisibili ad occhio nudo grazie al movimento delle diverse fonti di luce. “Nel nostro caso” spiega Massimiliano Nuzzolo, “la nuova tecnologia ci ha permesso finalmente di vedere tutte le iscrizioni geroglifiche riportate su di essa, e particolarmente sul Verso, svelando gli ultimi segreti legati a quella parti dell’iscrizione che prima non erano del tutto visibili e comprensibili.”
Per altre aree più danneggiate della pietra, invece, per cui nemmeno la RTI è stata sufficiente a chiarire dettagli del testo geroglifico, gli egittologi del team hanno utilizzato un microscopio digitale (Dino-Lite USB).
“Quest’ultima tecnologia” spiegano Kathryn Piquette e Mohamed Osman, i due studiosi che insieme a Nuzzolo hanno eseguito le indagini sulla Pietra di Palermo, “combinata con la tradizionale fotogrammetria e con le indagini al microscopio, ci ha permesso di studiare come mai prima era stato fatto le caratteristiche materiali del manufatto, quali la sua composizione chimica o la tecnologia utilizzata per incidere i segni geroglifici su di esso, oltre a fornirci una casistica straordinaria per lo studio della paleografia delle iscrizioni, elemento principale per dirimere la questione più importante relativa alla Pietra di Palermo, la sua datazione”.
A differenza di quasi tutte le iscrizioni monumentali che si trovano nella terra del Nilo, la Pietra di Palermo è infatti iscritta con geroglifici di dimensioni molto ridotte, nell’ordine di uno o due centimetri di grandezza, qualche volta anche meno. “Questo fa assomigliare la Pietra di Palermo” aggiunge Nuzzolo, “più a un testo papiraceo che a un’iscrizione monumentale su pietra e pone non pochi problemi di identificazione della mano dello scriba (paleografia, ndr.), o degli scribi, che l’hanno prodotta”.
La ricerca ha portato a numerose novità: fra le più interessanti, c’è sicuramente la menzione di spedizioni commerciali, finora sconosciute, effettuate durante il regno di Sahura, secondo faraone della V dinastia (2450 a.C. circa).
“Accanto alle già note spedizioni verso la terra di Punt” spiega sempre Massimiliano Nuzzolo, “siamo adesso in grado di leggere anche la menzione di viaggi effettuati verso est, alla ricerca di una specifica qualità di rame utilizzata per fabbricare oggetti di culto (statue) del sovrano”. Queste campagne erano rivolte a una zona desertica, probabilmente compresa tra Sinai (Egitto), Giordania e Israele, dove, in un’epoca posteriore, si svilupperà il noto sito metallurgico dello Wadi Feynan, tra i più importanti per il rame di tutto il Vicino Oriente.
Ma le nuove ricerche sulla Pietra di Palermo hanno fornito altri importanti dati inediti, come la citazione dei “Campi di Ra”, un tempio, ancora non scoperto dagli archeologi, che Sahura dedicò al dio sole Ra, o la riprova dell’esistenza di almeno due forme di datazione degli anni. Finora, infatti, si credeva che l’unica forma di datazione adottata dagli Egizi, fra l’altro riportata più volte dalla Pietra stessa, fosse quella della conta del bestiame, una specie di censimento che si ripeteva a cadenza biennale nell’intero paese. Adesso sappiamo invece che, in casi eccezionali, gli anni potevano essere datati anche sulla base di eventi che erano quindi percepiti come particolarmente significativi, come ad esempio una spedizione commerciale per l’approvvigionamento del turchese, materiale ampiamente utilizzato dagli Egizi sia per la fabbricazione di amuleti, gioielli e altri oggetti di lusso, sia nelle pratiche medico-magiche.
Infine, va sicuramente riportata una conferma: gli Egizi, alla fine del IV millennio a.C., praticavano sacrifici umani o, più probabilmente, come sembra evincersi dal testo della Pietra di Palermo, sacrifici rituali su statue o altri simulacri che dovevano agire da sostituti delle vittime vere e proprie che, invece, sono attestate nelle sepolture di alcuni sovrani della I dinastia.
Insomma, le nuove ricerche effettuate sulla Pietra di Palermo stanno riaprendo un capitolo della storia più remota della civiltà dei faraoni su cui resta ancora molto da scoprire. Aspettiamo quindi la pubblicazione dei risultati dello studio di tutti i frammenti per conoscere ulteriori novità su questo antichissimo documento.